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Per i 520mila maturandi italiani si avvicina l’ora della verità. Dopo aver superato, con più o meno scioltezza, il rettilineo dei due scritti davanti a loro si profila l’ultima curva dell’orale. Poi, chi vuole proseguire gli studi, potrà cominciare a pensare alla scelta della università. O degli Its se preferisce una scuola tecnica. Tra corsi professionalizzanti, di primo o secondo livello e a ciclo unico l’offerta formativa messa in campo dagli atenei si annuncia quanto mai ricca. 

Con 4.854 lauree in pista (+2% rispetto al 2018/19 in base ai dati raccolti dal Sole 24 Ore), di cui 2.293 di primo livello, 2.221 di secondo livello e 340 a ciclo unico. In un contesto generale che ci vede sempre penultimi nella Ue come numero di laureati nella fascia d’età 30-34 anni, seguiti solo dalla Romania.

Anche se prosegue l’inversione di tendenza e le matricole continuano a salire. Anche nel 2018/2019 quando, secondo un dato ancora provvisorio, hanno superato le 298mila unità, avvicinandosi alla “barriera psicologica” delle 300mila immatricolazioni annuali che non ci appartiene più da prima della crisi economica.

Un’offerta quanto mai vasta

Più aperti all’estero, ma anche più selettivi all’ingresso, con piani di studio e laboratori “travolti” dalla rivoluzione digitale. Si presenta così per le aspiranti matricole la carta d’identità dei corsi 2019/20. Crescono le proposte in inglese e i double degree e aumenta il filtro all’ingresso, con il numero programmato che riguarda ormai il 44% dei corsi di laurea (2.139 rispetto ai 1.991 dello scorso anno).

Sul fronte della didattica, invece, se da un lato si punta su una maggior specializzazione dei corsi, dall’altro avanza la contaminazione digitale dei programmi.

Machine learning, cybersecurity, blockchain, Big Data, intelligenza artificiale. Alzi la mano chi non è incappato in una di queste parole leggendo i piani di studio dei corsi. Una rivoluzione che non si limita all’area tecnico-scientifica. Lo studio dei «grandi dati» si allarga ad altri ambiti, dalle scienze umane fino all’economia.

A livello di area disciplinare i corsi più numerosi sono quelli delle professioni sanitarie (circa 600), a seguire quelli di scienze economico-aziendali (163), ingegneria industriale (137), scienze dell’economia e della gestione aziendale (127), ingegneria dell’informazione (103). Poi via via tutti gli altri, da biologia a psicologia, da giurisprudenza a medicina.

Gli sbocchi sul mercato del lavoro

Un primo aiuto per compiere una scelta consapevole e orientata può arrivare dalle ultime rilevazioni di AlmaLaurea su profilo e condizione occupazionale dei laureati.

I quali - ed è il primo elemento da tenere a mente - lavorano di più dei diplomati: 78,7% contro 65,7. Guadagnando peraltro il 38,5% in più. Ma dai numeri del consorzio universitario con sede a Bologna emerge che, tra i laureati del 2013 fotografati a 5 anni dal titolo, quelli meglio occupati sono i laureati in ingegneria, economia-statistica e professioni sanitarie: tutti sopra all’89% (contro una media dell’85,6%). Laddove resta in affanno chi ha un titolo dei gruppi giuridico, letterario, geo-biologico e psicologico (tutti al di sotto dell’80%). Mentre se ci spostiamo sui laureati magistrali a ciclo unico, censiti sempre a 5 anni, in testa troviamo i medici con il 92,4%: quasi il 16% in più dei giuristi.

Le armi in più a disposizione degli studenti

L’orientamento non si esaurisce con la scelta della facoltà. Ma prosegue sotto forma di arricchimento del proprio corso di studi. Non tanto e non solo conquistando, se possibile in tempo, i crediti formativi previsti per quel corso di studio. 

Ma anche arricchendo il proprio curriculum di esperienze “trasversali”. In che misura lo spiega ancora una volta il rapporto 2019 di AlmaLaurea quando sottolinea che un’esperienza lavorativa durante gli studi, anche se occasionale, accresce le chance occupazionali future del 39 per cento. Stesso discorso per le conoscenze informatiche (+25,1%) e per le esperienze all’estero. Il ritorno in termini di appeal sul mercato del lavoro della partecipazione all’Erasmus o a un altro programma di scambio supera il 12 per cento. Non proprio bruscolini in un paese con la terzultima disoccupazione giovanile d’Europa.

F.Barbieri/E.Bruno – 25 giugno 2019 – tratto da sole24ore.com

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