Mentre monta la polemica sulle responsabilità per la morte di Gaia e Camilla a Roma, la Cassazione deposita una sentenza che condanna un guidatore anche in un caso analogo a quello che, secondo le prime ricostruzioni, è costato la vita alle due giovani romane. Cioè quando conducente investe pedoni che stavano occupando la strada in modo irregolare. Secondo i giudici, che nella loro pronuncia riassumono nel dettaglio la giurisprudenza attualmente più affermata, chi guida un veicolo deve prevedere anche comportamenti indisciplinati dei pedoni ed essere in grado di annullarne le conseguenze. Salvo casi estremi.

Il nodo del concorso di colpa
La sentenza tocca anche l’altro punto che diventerà determinante nel processo a Pietro Genovese per l’incidente di Roma: la possibilità che il conducente colpevole riesca a farsi dimezzare la pena perché c’è stato un concorso di colpa. Della vittima o di terzi. Come l’ente proprietario della strada, nel caso di Roma: il Comune capitolino è finito sulla graticola per il semaforo che dava segnali diversi da quanto prevede il Codice della strada. Di stretta attualità, insomma, il contenuto della sentenza 52071, depositata il 30 dicembre. La stessa pronuncia ha inoltre spiegato che il semplice comportamento colposo del pedone – come potrebbe essere il caso di chi attraversa la strada di corsa mentre il semaforo sta volgendo al verde per gli automobilisti – può, al più, rilevare come concausa che però non esclude il rapporto di causalità tra la condotta di guida del conducente del veicolo a motore e l’investimento del pedone, in virtù di quanto dispone l’articolo 41 comma 1 del Codice penale.

Velocità e visibilità limitata
Inoltre, ha concluso la Corte, la diminuente speciale del concorso di cause concorrenti – introdotta dalla legge 41/2016, per i reati di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime, agli articoli 589 bis comma 7 e 590 bis comma 7 del Codice penale – non si applica ai fatti precedenti al 25 marzo 2016, perchè il trattamento sanzionatorio sopravvenuto non può configurarsi più mite di quello previgente.
Il ricorrente era un automobilista che era stato condannato per avere causato la morte di un pedone che – in orario serale - camminava, affiancato da un’altra persona, nel medesimo senso di marcia dell’autovettura, in violazione dell’articolo 190 del Codice della Strada, a mente del quale, quando mancano i marciapiedi o altri spazi appositamente predisposti per la circolazione dei pedoni, questi «devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione». Secondo la Corte, la causa dell’investimento era da individuarsi nella velocità tenuta dal conducente, che non era adeguata allo stato dei luoghi, vista l’ora tarda (intorno alle 22.30), il passaggio stradale stretto e la visibilità limitata: il fatto che il pedone avesse a sua violato una regola comportamentale non aveva però reso la sua condotta imprevedibile ed eccezionale, dato che l’automobilista doveva usare una diligenza rafforzata percorrendo un tratto stradale caratterizzato da assenza di banchine per i pedoni, mancanza di illuminazione, ristrettezza della carreggiata e probabile presenza di viandanti lungo la via, trattandosi di serata primaverile caratterizzata da condizioni metereologiche propizie per le passeggiate serali.

Il dovere di attenzione
La sentenza è interessante perchè delinea con chiarezza i tre fondamentali obblighi comportamentali del «dovere di attenzione» del conducente teso all’avvistamento del pedone: - i) ispezionare la strada dove procede e quella che sta per impegnare; - ii) mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; - iii) prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, e in particolare per i pedoni. Solo quando il conducente del veicolo a motore dimostra di avere rispettato tutti e tre questi parametri se ne può ipotizzare l’assenza di responsabilità per l’investimento di un pedone, in modo conforme al principio dell’affidamento in ambito stradale, che – per quanto vada applicato in modo rigoroso per garantire la sicurezza della circolazione stradale – non può imporre obblighi impossibili e inesigibili, «votando l’utente della strada al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio».

L’attenuante speciale
Per quanto concerne l’attenuante speciale introdotta dalla legge 41 per i casi di concorso di colpa – il cui effetto è una diminuzione fino alla metà della pena - la Cassazione ne ha escluso l’applicabilità ai fatti precedenti al 25 marzo 2016 in base al seguente ragionamento: la nuova diminuente è riferita al reato di omicidio stradale, ovvero una fattispecie autonoma di reato e non più, come in passato, un’aggravante dell’omicidio colposo; la vecchia e la nuova normativa – in presenza di una violazione «generica» del Codice della Strada – prevedevano la medesima pena, ovvero la reclusione da 2 a 7 anni; tuttavia, la disciplina previgente è da ritenersi più favorevole, dato che non operava alcun «blocco» delle attenuanti, e il giudice, in virtù della regola generale sul bilanciamento delle circostanze, stabilita dall’articolo 69 del Codice penale, poteva applicare la pena «base» prevista per il reato di omicidio colposo, che nel minimo è di 6 mesi. Nello stesso senso la Cassazione si è espressa anche con la sentenza n.16609/2019, dichiarando manifestamente infondata una questione di legittimità costituzionale proposta in merito all’articolo 589 bis comma 7 del Codice penale, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l’applicazione della nuova attenuante ai fatti precedenti all’entrata in vigore della legge 41.

Il peso di alcol e droga
Questo il motivo del rigetto: la nuova attenuante è il «frutto di una scelta di politica criminale volta a temperare il più rigoroso trattamento sanzionatorio della novella che ha introdotto le norme in tema di omicidio stradale». Non va dimenticato, infatti, che l’articolo 590 quater del Codice penale oggi vieta la concessione delle attenuanti in regime di equivalenza o prevalenza rispetto alle aggravanti dell’omicidio stradale e delle lesioni stradali, e che la diminuzione per il concorso di colpa comunque opera sulla pena prevista per la fattispecie aggravata. Ciò significa – tradotto in termini aritmetici – che, in caso di guida sotto l’effetto di alcol o droghe che ha determinato la morte di un utente della strada, il concorso di colpa non potrà comunque far scendere la pena sotto 6 anni di carcere, cui si aggiunge la revoca della patente, con divieto di ottenerla nuovamente prima che siano decorsi almeno 15 anni. Quando le persone morte sono due, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 589 bis, la pena può inoltre aumentare fino a 9 anni di reclusione.

Guido Camera – 31 dicembre 2019 – tratto da sole24ore.com

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