Sul bonus facciate c’è ancora da chiarire. Ovviamente non per chi è palesemente in zona A e B e quindi ha accesso al bonus del 90 per cento. Stiamo parlando invece di chi va in Comune e gli viene detto che l’immobile è in zona è C e quindi escluso dall’agevolazione. Ma se il cittadino non fosse pienamente convinto?

Il quesito
Il tema odierno è quindi il seguente: se un privato cittadino/ amministratore di condominio si reca all’ufficio tecnico del Comune A dove un geometra gli fa vedere la planimetria dove sorge l’edificio dicendo: «Guardi, essendo la sua area classificata “Ambito urbano consolidato (R1)“ per quanto mi riguarda è zona C. Quindi non ha diritto all’esenzione» cosa può fare se non è convinto?

La dicitura ambito urbano consolidato gli sembra lessicalmente idonea per avere il bonus del 90% ma di fronte alla sicurezza del dipendente comunale non gli resta che incassare e informarsi per vedere se tante le volte il giudizio del Comune è in qualche modo modificabile.

Anche un professore universitario, interpellato, ha espresso perplessità sulla risposta del tecnico comunale.

E anche un collega del geometra del Comune A gli dice che è probabile che si stia sbagliando. Quindi? Mettiamo i primi punti fermi.

La certificazione ai fini del bonus
L’agenzia delle Entrate la considera obbligatoria mentre il ministero no . Comunque sia questa il contenuto della mail dell’ufficio tecnico del Comune B.

«Le certificazioni di ordine urbanistico emesse da questo ufficio, assimilabili a quella indicata nella circolare che cita (la 2/E/2020), genericamente riportano la zona urbanistica in cui ricade il mappale di cui si richiede, appunto, la certificazione oltre ogni altro vincolo posto all’attività edilizia.

Di norma nella certificazione non riportiamo gli indicatori planivolumetrici previsti dal piano urbanistico (indici di fabbricazione, rapporto di copertura e così via), perché riportati nelle norme tecniche, tra l’altro non utili per la finalità fiscale di cui chiede; ciò non toglie che se ne avesse bisogno, basterà specificarlo nella domanda di certificato di destinazione urbanistica e l’ufficio li espliciterà nel testo del provvedimento.
Debbo però rammentarle che questo ufficio non si occupa di incentivi e di sgravi fiscali applicabili alle opere edilizie, quindi per ogni approfondimento in merito le converrà sentire dei commercialisti o fiscalisti».

Prima presunta certezza
Per avere nel certificato gli indicatori planivolumetr ici - cioè per verificare se la superficie coperta dall’edificio sia superiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore a 1,5 m3/m2 - bisogna chiederli appositamente.

Zone A, B e C a macchia di leopardo
Con il Comune B c’è stata anche una conversazione telefonica al termine della quale si è saputo che:
1) ci sono Comuni della Lombardia dove i documenti urbanistici fanno ancora riferimento alle zone A, B e C;
2) che nel caso di specie è possibile che il Comune A , in cui è utilizzato un piano del governo del territorio con la nuova terminologia (R1, R2 e così via), per sapere se l’edificio dove si trova l’edificio vada a vedere il vecchio piano regolatore, per esempio degli anni 80, e dica cosa risulta lì. «Ma - sempre per il Comune B - sarebbe sbagliato fare così perché la zonizzazione degli anni ’80 va sostituita con quella attuale tramite un’interpretazione e un’attualizzazione della norma».

Cosa fare/1
Bisogna cercare sul sito del Comune A il piano delle regole e vedere cosa dice la relazione illustrativa a proposito della zonizzazione dell’edificio. Nel caso in questione l’ “Ambito consolidato urbano” R1 viene definitivo «la categoria caratterizzata da un’edificazione con tipologia edilizia mista. Tale ambito connota la gran parte del terreno edificato e rappresenta la crescita storica e recente del paese nella sua complessità».

Poi va preso il decreto 1444/68 in cui come zona B viene definita quella «composta dalle parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A, cioè quella a carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi».

Sempre nel decreto 1444/68 si definiscono parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore a 1,5 mc/mq;

In conclusione
Il Comune B - che peraltro come detto ha ancora planimetrie indicanti le zone A, B e C -suggerisce di convincere il Comune A che bisogna andare al di là degli indicatori planivolumetrici ma non è così facile. Ecco l’ultima risposta

«Purtroppo il nostro mandato è fornire un supporto nell’interpretazione delle norme urbanistiche vigenti nel nostro comune, mentre lei necessita di un professionista di parte che analizzi il suo caso e controbatta l’interpretazione del collega del lecchese.
Potrebbe
1) contattare l’estensore del Piano per chiedergli un’interpretazione univoca della corrispondenza fra azzonamento vigente e zone ex Dm 1444/68, oltre
2) a sollecitare un confronto con il tecnico comunale - il tema, del resto, non interessa solo lei, ma tutti i cittadini nella stessa condizione.
Detto questo, le rammento comunque che: a) le Zone C sono di espansione, qui ciò che è già costruito all’approvazione del piano dovrebbe essere o B o A; b) se si prendessero a riferimento solo i parametri urbanistici per definire le zone di appartenenza,
3) basta verificare se le zone edificate classificate come R1 e simili hanno residui volumetrici oppure no; nel secondo caso, indipendentemente dai parametri stabiliti dal Dm, i lotti saranno da considerarsi “saturi” (cioè senza ulteriore possibilità di ampliarsi) e conseguentemente non posso essere classificati come zone C (zone di espansione).

Il problema è che un amministratore di condominio non ha tempo per aspettare la risposta.

Enrico Bronzo - 24 febbraio 2020 – tratto da sole24ore.com

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