Da marzo a dicembre del 2020 siglate ben 326 intese: il 65% tratta di relazioni sindacali (istituzione di commissioni paritetiche), il 53,4% di misure per prevenire il rischio contagio, un’altra quota consistente si occupa di organizzazione del lavoro (44,2%) e di orario (34%)

Smart working, salute, nuove relazioni sindacali. Tre temi da considerare non in successione ma sullo stesso piano. C’è un numero che cristallizza la trasformazione del mercato del lavoro in questi mesi e, soprattutto, come questa trasformazione si sia snodata dentro le aziende. Il numero è questo: «Al 1° marzo del 2020 i lavoratori in smart working erano tra 500 e 600mila, in dieci giorni sono diventati quasi 8 milioni (7,3 milioni, a maggio 2021, ndr). Ciò vuol dire che in dieci giorni si è compiuto ciò che, se non ci fosse stata l’urgenza determinata dalla pandemia, avrebbe richiesto un tempo di 368 anni», racconta il sociologo Domenico De Masi. Fondamentale per la gestione di questo impetuoso cambiamento è stata la contrattazione aziendale. Lo spiega uno studio su 326 intese siglate tra aziende e sindacati da marzo a dicembre 2020, realizzato dalla Fondazione Di Vittorio. Si tratta, nel dettaglio, di 215 contratti e di 111 protocolli.

I temi affrontati

Testi che restituiscono lo stato dell’arte della negoziazione di secondo livello e spiegano come: «L’obbligo di mantenimento dei distanziamenti individuali, l’inagibilità di luoghi destinati alla socializzazione, la previsione di ingressi e uscite differenti, hanno ridisegnato lo spazio del lavoro. La ridefinizione di turni e scaglionamenti, l’esplosione dello smart working, hanno modificato il tempo del lavoro e la sua percezione». Il punto di partenza è l’oggettivo monopolio del tema della sicurezza «declinato – si legge - soprattutto sulla questione della prevenzione e delle nuove prerogative assunte dai rappresentanti della sicurezza».

L’urgenza di intervenire ha così attivato il meccanismo più proficuo del dialogo: la bilaterialità. «Più che di bilateralità - chiarisce Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil per il mercato del Lavoro e per la Contrattazione - diciamo che è cresciuto il ruolo partecipativo dei lavoratori». Ciò è accaduto in particolare per gestire «la crescita esponenziale che ha caratterizzato l’istituto dello smart working, sia per l’ampio ricorso che se ne è fatto, sia per lo sviluppo in termini di regolamentazione».

Così, svolgendo una analisi tematica degli accordi, dal rapporto emerge che «oltre il 65% di queste intese tratta temi relativi alle relazioni sindacali», in particolare appunto «riguardanti l’istituzione di commissioni paritetiche». Emerge, ed era prevedibile, il tema della salute, con le misure volte alla prevenzione del rischio contagio (53,4%). Un’altra quota consistente di documenti tratta anche di organizzazione del lavoro (44,2%) - smart working soprattutto - e di orario (34%), con la rimodulazione dei turni al fine di evitare assembramenti. Seguono politiche industriali e crisi aziendali (23%), diritti e prestazioni sociali (13,8), welfare integrativo (8,3), inquadramento e formazione (8%), trattamento economico (7,1) e occupazione e rapporto di lavoro (4,3).

«Questa stagione - dice ancora Tania Scacchetti - ci insegna la adattabilità e la forza della contrattazione, che ha agito sia sul fronte difensivo per quanto riguarda tutti gli aspetti relativi all’applicazione degli ammortizzatori sociali, sia in termini di apporto e partecipazione dei lavoratori. La contrattazione ha mostrato vitalità e adattabilità. Si è accentuato lo spazio di confronto tra le parti. Smart working, Fondo competenze e protocollo sicurezza, sono stati i tre pilastri che hanno dimostrato come la contrattazione integrativa abbia saputo adeguarsi alle esigenze del momento. Si è ridefinito un protagonismo della negoziazione su materie che si erano perse. Alcuni tratti, credo, resteranno strutturali, ad esempio la partecipazione dei lavoratori alla riorganizzazione degli assetti produttivi».

Serena Uccello - 12 maggio 2021 – tratto da sole24ore.com

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