La relazione, da Quota 100 al Reddito di cittadinanza

Dopo la pandemia bisogna rimettere a posto il mercato del lavoro, dove né Quota 100 né il Reddito di cittadinanza hanno centrato gli obiettivi; ridurre le diseguaglianze che sono aumentate durante la crisi e impostare una riforma delle pensioni sostenibile ed equa in termini intergenerazionali. Questo il senso della relazione con la quale il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha presentato alla Camera il Rapporto annuale dell’Istituto.

Un italiano su tre assistito per la crisi Covid

La risposta economica alla crisi è passata in gran parte per l’Inps, ha spiegato Tridico: «Gli interventi messi in atto dall’Istituto hanno raggiunto oltre 15 milioni di beneficiari, pari a circa 20 milioni di individui, per una spesa complessiva di 44,5 miliardi>. In particolare, sono stati assistiti: 4,3 milioni di lavoratori autonomi, professionisti, stagionali, agricoli, lavoratori del turismo e dello spettacolo; 6,7 milioni di lavoratori dipendenti in cig, per una spesa complessiva di 23,8 miliardi; 210mila disoccupati che hanno fruito del prolungamento del trattamento di disoccupazione (Naspi); 515mila famiglie cui è stata assicurata l’estensione dei congedi parentali, 850mila che hanno fruito del bonus baby-sitting e 722mila con gravi difficoltà economiche che hanno beneficiato del Reddito di emergenza; 216mila sono stati i bonus per i lavoratori domestici e 1,8 milioni i nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) che hanno ricevuto il Reddito o la Pensione di cittadinanza, strumenti, ha affermato il presidente dell’Inps, che hanno <contribuito a ridurre il rischio di tensioni sociali».

330 mila posti di lavoro salvi

I posti di lavoro salvati con il blocco dei licenziamenti nel periodo marzo 2020-febbraio 2021, <possono essere valutati in circa 330mila e per oltre due terzi riconducibili alle piccole imprese (fino a 15 dipendenti)>. L’aumento della spesa per integrazioni salariali e la contrazione delle entrate contributive hanno determinato un peggioramento del risultato finanziario di competenza dell’Inps, che è passato da +6,6 miliardi di euro del 2019 (il miglior risultato degli ultimi 11 anni) a –7,1 miliardi del 2020. Ma <nei primi cinque mesi dell’anno in corso registriamo importanti segnali di ripresa. Al 31 maggio 2021, le entrate da contributi sono aumentate di 4,5 miliardi, con un incremento sul 2020 di oltre nove punti percentuali> e nel corso dell’anno si potrà tornare ai livelli del 2019, secondo Tridico.

Disparità salariali aumentate

La crisi ha accentuato le disparità salariali. La retribuzione media annua dei dipendenti è scesa da 24.140 euro nel 2019 a 23.091 euro nel 2020, «una perdita di poco più di mille euro» dovuta alla cig e al taglio delle ore lavorate. «Ciò accresce la polarizzazione all’interno del lavoro dipendente, qualora si consideri che le retribuzioni medie annue dei dipendenti occupati per tutto l’anno sono cresciute da 32.668 a 36.448 euro (+11,6%)», quasi 4mila euro in più, ha sottolineato il presidente dell’Inps. Sui sussidi a fondo perduto, «molto probabilmente l’intervento pubblico avrebbe potuto essere più selettivo nell’individuazione delle categorie da beneficiare», ha osservato Tridico. Prendiamo le indennità di 600 e 1.000 euro, per le quali nel corso del 2020 complessivamente sono stati effettuati 8,8 milioni di pagamenti per un importo complessivo di quasi 6 miliardi di euro, il 70% a favore di autonomi e stagionali. In tutto, i beneficiari sono stati 4,2 milioni, e ciascuno ha ricevuto in media circa 1.400 euro. «Per un gruppo non trascurabile di individui la situazione reddituale del 2020 è decisamente migliore del 2019. Nel caso dei liberi professionisti non ordinistici si mostra come la platea dei beneficiari del sussidio incondizionato si riduce drasticamente al 35% quando si introduce il controllo sulla caduta del fatturato>. Inoltre, <una quota non trascurabile di iscritti “silenti” pari, per esempio, al 50% degli iscritti con ultima contribuzione nel 2017», ha comunque richiesto il bonus. Uno strumento per combattere le crescenti diseguaglianze potrebbe essere, secondo Tridico, il salario minimo per legge tra gli 8 e i 9 euro lordi l’ora. Ne beneficerebbero tra i 2 e i 4 milioni di lavoratori, che ora prendono meno. E le entrate per lo Stato potrebbero aumentare fino a 3 miliardi l’anno.

Chi ha il Reddito di cittadinanza non lavora

Sul fronte della povertà, il presidente dell’Inps ha spiegato che «i due terzi dei 3,7 milioni di beneficiari del Reddito di cittadinanza, di cui un quarto minori, non risultano presenti negli archivi degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi distanti dal mercato del lavoro e forse non immediatamente rioccupabili». Come dire che l’idea che col Reddito di cittadinanza si sarebbe trovato un lavoro ai percettori era sbagliata in partenza. «La occupabilità dei percettori di RdC, purtroppo, è molto scarsa», ha ammesso Tridico, uno dei padri della riforma voluta dai 5 Stelle.

Il flop di Quota 100

Sul futuro delle pensioni, le preoccupazioni vengono soprattutto dall’invecchiamento demografico. Di qui la necessità di favorire la natalità, sostenere l’occupazione giovanile e femminile, la regolarizzazione degli immigrati e la lotta al nero, ha detto il presidente dell’Inps. Intanto, le misure di flessibilità in uscita, anche qui, hanno favorito le fasce più forti. «La misura sperimentale e triennale di Quota 100 ha permesso il pensionamento anticipato di 180 mila uomini e 73 mila donne nel primo biennio 2019-2020. Dall’analisi del take-up di Quota 100 emerge che la misura è stata utilizzata prevalentemente da uomini, con redditi medio-alti e con una incidenza percentuale maggiore nel settore pubblico». Inoltre, «rispetto agli impatti occupazionali attraverso la sostituzione dei pensionati in Quota 100 con lavoratori giovani, un’analisi condotta su dati di impresa non mostra evidenza chiara di uno stimolo a maggiori assunzioni derivante dall’anticipo pensionistico», ha spiegato Tridico. Insomma, la tesi della Lega che con Quota 100 si sarebbero aperte le porte del mercato del lavoro ai giovani è stata smentita dai fatti, anche se c’è l’attenuante della pandemia.

Tre proposte per la riforma delle pensioni

Nel rapporto ci si dedica anche a tre proposte di riforma delle pensioni. La prima è quella del pensionamento anticipato con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall’età.La seconda è quella del calcolo contributivo con 64 anni di età e 36 di contributi. La terza è quella messa a punto dallo stesso Tridico: anticipo della sola quota contributiva della pensione a 63 anni, rimanendo ferma a 67 la quota retributiva. «Dall’approfondimento — ha detto il presidente — emerge che la prima proposta è la più costosa, partendo da 4,3 miliardi nel 2022 e arrivando a 9,2 miliardi a fine decennio, pari allo 0,4% del Prodotto interno lordo. La seconda è meno onerosa, costando inizialmente 1,2 miliari, toccando un picco di 4,7 miliardi nel 2027, e per questo più equa in termini intergenerazionali. La terza ha costi molto più bassi: meno di 500 milioni nel 2022 e raggiungerebbe il massimo costo nel 2029 con 2,4 miliardi». Ma oltre agli aspetti finanziari, c’è un problema strutturale che andrebbe affrontato. Oggi le età di pensionamento sono uguali e così i coefficienti di trasformazione, che non distinguono tra i diversi lavori. Eppure i dati mostrano, ha sottolineato Tridico, che «i cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo finanziano i cittadini con le pensioni più alte che vivono più a lungo», anche perché hanno fatto lavori meno pesanti.

Enrico Marro – 12 luglio 2021 – tratto da corriere.it

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