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Il parassitismo commerciale non riguarda solo un prodotto chiamato in maniera tale da evocare quello protetto, ma anche il nome simile di un locale

Le denominazioni di origine protetta godono di tutela nei confronti di condotte vietate relative sia ai prodotti che ai servizi. È quanto ha statuito la Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza della causa C-783/19, sorta da una polemica tra il prodotto per eccellenza francese, lo champagne, e la Spagna. Si tratta di una pronuncia quindi che ha ripercussioni innegabili sul made in Italy e la tutela anche evidentemente dei nostri tanti prodotti a Denominazione di origine protetta (Dop), come il grana padano, il parmigiano reggiano, il prosciutto di Parma o la mozzarella di bufala campana, solo per citarne alcuni.

Assonanza tra Champagne e i tapas bar Champanillo

A sollevare la questione, come detto la Francia, il Comité interprofessionnel du vin de Champagne, l’organismo che cura gli interessi dei produttori di champagne, che alle giurisdizioni spagnole si era rivolto per impedire l'utilizzazione della parola «Champanillo» riferita, in particolare, ad alcuni «tapas bar» (tipici locali di ristorazione) in Catalogna. Aveva respinto le accuse la Corte provinciale di Barcellona secondo la quale il termine in conflitto non era legato ad uno stesso prodotto, ma ad un servizio e non poteva dunque generare confusione.

Non la pensa così la Corte Ue. Già nelle conclusioni ad aprile scorso l'Avvocato generale Giovanni Pitruzzella si era soffermato sul tipo di tutela che - aveva precisato - «deve intendersi tout court, ovvero riguarda tutte le pratiche di parassitismo commerciale aventi ad oggetto indifferentemente prodotti o servizi». Ora la Corte lo ribadisce nella sentenza dichiarando che il regolamento Ue è diretto essenzialmente a garantire ai consumatori che i prodotti agricoli muniti di un'indicazione geografica registrata presentino, a causa della loro provenienza da una determinata zona geografica, talune caratteristiche particolari.

Essi offrono pertanto una garanzia di qualità dovuta alla loro provenienza geografica, allo scopo di consentire agli operatori agricoli di ottenere in contropartita migliori redditi e di impedire a terzi di avvantaggiarsi abusivamente della notorietà discendente dalla qualità di tali prodotti. Il regolamento predispone dunque una protezione ad ampio raggio destinata ad estendersi a tutti gli usi che sfruttano la notorietà associata ai prodotti protetti.

L’evocazione indebita del prodotto protetto

Ciò posto, secondo la giurisprudenza della Corte, la nozione di «evocazione» si estende all'ipotesi in cui il segno utilizzato per designare un prodotto incorpori una parte di una indicazione geografica protetta (Igp) o di una Dop, di modo che il consumatore, in presenza del nome del prodotto o del servizio, sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce di detta indicazione o denominazione.
Pertanto, può sussistere evocazione anche qualora vi sia solo un'affinità fonetica e visiva tra l'Igp o la Dop e il segno contestato.

Pertanto sarà il giudice nazionale, - conclude la Corte - quello spagnolo nel caso in esame, a valutare la reazione del consumatore e la presenza o meno della violazione del regolamento, considerando però che, la nozione di «evocazione», ai sensi del regolamento Ue, non esige che il prodotto protetto dalla Dop e il prodotto o il servizio contrassegnato dalla denominazione contestata siano identici o simili, bensì che l’uso della denominazione produca nella mente del consumatore medio un nesso diretto con il prodotto tutelato.

Annarita D'Ambrosio – 9 settembre 2021 – tratto da sole24ore.com

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