La malattia professionale non è automaticamente imputabile all'ultima azienda presso la quale il dipendente ha svolto la sua attività lavorativa.

Solo in caso di imputabilità della malattia all'ultimo datore di lavoro, l'Inail può aumentare il tasso di premio.

Il cessionario può provare l'insussistenza del nesso di causalità tra malattia professionale e lavorazione rischiosa svolta alle proprie dipendenze e cosi evitare l'aumento del tasso di premio Inail.

Questo quanto stabilito dal tribunale di Bergamo che, con la sentenza del 12 ottobre 2021, ha fatto proprio l'orientamento della Corte d'appello di Brescia secondo cui la malattia professionale è imputabile al datore di lavoro se contratta esclusivamente nel periodo di lavorazione rischiosa presso quel medesimo datore di lavoro.

Nel caso di specie si trattava di un trasferimento di azienda ed il lavoratore aveva contratto la malattia (un «mesotelioma maligno pleurico» dovuto all'esposizione ad amianto) dopo aver prestato la sua attività sia nella cedente che nella cessionaria.

L'Inail aveva, automaticamente, imputato la malattia alla cessionaria aumentando cosi il tasso di premio.

Ora, il tribunale ha affermato che il rischio, cui è subordinato il calcolo del premio assicurativo, è legato esclusivamente alla lavorazione svolta dall'azienda.

Se l'azienda è trasferita il rischio la segue e pertanto all'azienda ultima cessionaria sono imputati gli eventi indennizzati dall'Inail e collegati alla lavorazione rischiosa.

La responsabilità della cessionaria non è però, come sosteneva l'Inail, automatica ovvero oggettiva.

Se infatti la cessionaria riesce a provare, documentalmente o tramite Ctu, che la malattia professionale sia stata contratta esclusivamente nel periodo di lavorazione rischiosa presso il datore di lavoro cedente, quest'ultimo sarà considerato unico responsabile della malattia.

L'onere probatorio grava sulla società cessionaria. L'ultimo datore di lavoro, per evitare l'aumento del premio Inail, dovrà provare l'insussistenza del nesso causale tra la malattia e la lavorazione svolta alle proprie dipendenze.

Come chiarito dal tribunale si dovrà verificare di volta in volta la sussistenza di due principi fondamentali:

- la malattia professionale va imputata alla posizione assicurativa intestata all'azienda alle cui dipendenze il lavoratore ha espletato da ultimo l'attività specifica rischiosa, a causa della quale ha contratto la malattia medesima:

- quando invece il lavoratore abbia svolto la stessa attività rischiosa presso l'azienda ceduta, prima e dopo la cessione, e non sia possibile determinare quando sia stata contratta la malattia: in questa ipotesi la malattia si deve imputare alla posizione assicurativa dell'ultima azienda a rischio.

Quindi, l'imputabilità degli eventi indennizzati dall'Inail causati dalla lavorazione rischiosa ovvero il «trasferimento di rischio» è impedito soltanto dalla prova dell'assenza del nesso di causalità tra la malattia e la lavorazione rischiosa svolta presso il datore di lavoro cessionario.

Margherita Braghò - 19 ottobre 2021 – tratto da Italia Oggi

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