I lavoratori extraUe hanno diritto alle stesse tutele sociali dei lavoratori italiani, se in possesso di permesso di soggiorno di durata superiore a sei mesi che consente di lavorare. Lo stabilisce la Corte costituzionale che martedì ha esaminato le questioni di illegittimità sollevate dalla Corte di cassazione sulle due discipline del «bonus bebè» e dell'«assegno di maternità dei comuni», ritenute lesive del principio di eguaglianza, perché concedono le prestazioni ai soli stranieri con permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo. La pronuncia, che sarà depositata nelle prossime settimane, ha effetto sulle situazioni ancora pendenti e, limitatamente all'assegno di maternità, anche per il futuro. Il bonus bebè, invece, è abrogato dal nuovo «assegno unico», al debutto da marzo, che contiene la disciplina sui beneficiari già allineata ai principi della Consulta.

Lavoro e diritti. Chiunque lavori in Italia ha diritto alle stesse tutele sociali. Non importa se italiano o straniero, purché regolarmente soggiornante, cioè con permesso di soggiorno che consente di lavorare. Il principio è stato fissato dalla Corte di giustizia Ue con la sentenza alla causa C-350/2020 riguardo alle due prestazioni del bonus bebè e dell'assegno di maternità dei comuni. Il principio ha valore universale, cioè per ogni prestazioni di «sicurezza sociale» (malattia, familiari, infortuni, pensioni, disoccupazione, etc.), perché l'Italia non si è avvalsa della facoltà di limitare la parità di trattamento tra cittadini italiani ed extraue. La Corte Ue, in sostanza, ha affermato che la normativa italiana non è compatibile né con l'art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue, né con l'art. 12, paragrafo 1, lett. e, della Direttiva 2011/98/Ue. Dopo la pronuncia Ue, le questioni delle due prestazioni (bonus bebè e assegno di maternità) sono ritornate alla Consulta, che aveva posto i quesiti alla Corte Ue (ordinanza 182/2020).

La decisione. Riunita in camera di consiglio l'11 gennaio, la Corte ha riesaminato le questioni sollevate a sua volta dalla Cassazione sulle discipline del bonus bebè (art. 1, comma 125, legge n. 190/2014) e dell'assegno maternità (art. 74 dlgs n. 151/2001), ritenute lesive del principio di eguaglianza e della tutela della maternità, perché subordinano il riconoscimento agli stranieri extraUe solo se titolari di permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. In attesa del deposito della sentenza, la Consulta fa sapere che ha dichiarato incostituzionali le norme che escludono dai due assegni i cittadini extraUe ammessi in Italia a fini lavorativi e quelli ammessi a fini diversi dall'attività lavorativa ai quali, però, è consentito anche di lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno superiore a sei mesi. In particolare, la Consulta ha ritenuto che le norme sono in contrasto con gli art. 3 e 31 della Costituzione e con l'art. 34 della carta dei diritti dell'Ue.

Che cosa succede? La sentenza ha efficacia anche sulle domande presentate prima della pubblicazione se ancora pendenti, né esaurite, per le quali cioè non sono decorsi i termini di prescrizione e decadenza. Guardando al futuro, a differenza dell'assegno di maternità che continua a sopravvivere con il nuovo principio della Corte costituzionale, il bonus bebè è abrogato dal c.d. «assegno unico» che debutterà a marzo. Per la nuova prestazione, la disciplina risulta già aggiornata al nuovo principio riconoscendone il diritto ai cittadini italiani, comunitari ed extraUe se in possesso di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o di permesso unico di lavoro per un periodo superiore a sei mesi o sia di permesso di soggiorno per motivi di ricerca di lavoro per un periodo superiore a sei mesi.

Daniele Cirioli - 13 gennaio 2022 – tratto da Italia Oggi

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