Oltre un sesto delle sanzioni delle Authority europee in materia di privacy (177) riguarda l'installazione e/o la gestione di telecamere di sorveglianza. All'indomani dell'operazione “Rear window” della Polizia postale e della procura di Milano - 11 persone indagate per accesso abusivo a sistemi informatici in associazione per delinquere, obiettivo i sistemi di videosorveglianza di hotel, locali pubblici e privati, craccati e venduti sul web - una ricerca di Federprivacy rivela che la stragrande maggioranza dei dispositivi installati non sarebbe in regola.

Solo l’8% del campione (su un totale di 2.017 persone scelte tra i contatti dell’ente) entrato in un esercizio pubblico dotato di un sistema di videosorveglianza, dichiara di aver trovato esposta una regolare informativa che avverta in modo chiaro e trasparente della presenza di telecamere, corredata dei giusti riferimenti normativi.

“captazioni” mal segnalate

Non è un problema da poco. La regolamentazione europea (Gdpr) recepita nella nostra legislazione nazionale a partire dal 2017 prevede infatti obblighi molto chiari a carico di chi “capta” e tratta informazioni personali - come nel caso, ma non solo, delle telecamere - e soprattutto contempla sanzioni importanti. A questo proposito, se è vero che la nostra Authority (il Garante della Privacy) è finora intervenuta sul tema con il contagocce (solo 8 provvedimenti), la media pecuniaria delle sanzioni elevate sfiora però i 27.500 mila euro, per un totale incassato di 219 mila euro. Niente comunque rispetto all’attivismo dei colleghi spagnoli, che nei 93 procedimenti portati ad esito contro i sistemi di intercettazione abusivi (o non adeguatamente segnalati agli utenti) hanno inflitto multe per 3 milioni di euro (34 mila euro la media per sanzione). L’80% delle multe inflitte dalle Authority europee - in totale circa 4,1 milioni - è stato incassato a Madrid.

Gap culturale da recuperare

In attesa delle (probabile) stretta sui controlli anche del Garante italiano, la rilevazione statistica di Federprivacy sottolinea che, nonostante i cinque anni di vigenza del Gdpr, nel nostro Paese c’è ancora un gap culturale notevole sulla materia. Basti pensare che nel 38% dei casi rilevati dalla ricerca non c’è alcun cartello che mette a conoscenza il cittadino della presenza delle telecamere in luoghi pubblici o privati vigilati, e nel restante 54% dei casi l’interessato prende atto che è esposto un cartello senza le informazioni necessarie o del tutto inadeguate. Problema che riguarda però anche i gestori e addirittura gli installatori di apparecchiature di sorveglianza: su un campione di 1.127 operatori intervistati dopo aver partecipato a una sessione formativa in materia privacy, solo il 46% ha ammesso di rendersi conto di avere a che fare con temi complessi e che comportano rischi elevati di esposizione alle pesanti sanzioni.

Ulteriore campanello d’allarme è la diffusione della presenza di una figura di Data protection officer (Dpo) nelle imprese che installano apparecchiature di sorveglianza: nel Sud solo il 3% dichiara di averlo, contro il 61% del Nord Ovest e il 24% del Nord Est.

Alessandro Galimberti - 11 giugno 2022 – tratto da sole24ore.com

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