Anche senza accertamenti sull’indirizzo ip è logico attribuire la paternità di un post diffamante ad un determinato utente, se questo non ha denunciato l’uso del suo profilo da parte di terzi. La Corte di cassazione considera rilevante la mancata segnalazione alle autorità del furto di identità. Un’omissione che è un valido indizio di colpevolezza. Da questa premessa era partita la corte d’Appello, nel decidere una condanna per diffamazione aggravata, a carico di un cittadino accusato di aver “pesato” il valore del comandante della polizia municipale, concludendo che era pari a quello della farina: 00. Al paragone, certo non lusinghiero, si era aggiunta un’altra considerazione ancora più infamante.
Senza successo il ricorrente aveva negato di essere l’autore dei post pubblicati sul suo profilo social. La difesa lamentava il mancato accertamento sull’indirizzo ip (internet protocol). La corte territoriale, aveva lasciato del tutto intentata una verifica sulla “targa” che avrebbe consentito di fare chiarezza ed escludere che terze persone potessero aver scritto il messaggio “incriminato” utilizzando abusivamente il profilo dell’imputato. Per la Suprema corte però la Corte d’Appello non è caduta in alcun vizio logico nel considerare rilevante anche il fatto che il ricorrente non aveva segnalato alla polizia l’utilizzo abusivo del suo personale spazio virtuale. I giudici di legittimità sono d’accordo: è un valido elemento indiziario.
Patrizia Maciocchi - 27 ottobre 2022 – tratto da sole24ore.com