Il rating di legalità potrebbe essere una buona idea per la maggior parte delle aziende con fatturato sopra i due milioni: facilita infatti l’accesso ai finanziamenti bancari, consentendo spesso di ottenere uno sconto sul tasso di interessi, migliora il punteggio nella partecipazione agli appalti pubblici o nell’ottenimento di finanziamenti pubblici (per esempio quelli della regione Lombardia ed Emilia Romagna). Non ultimo può essere utilizzato anche come strumento di marketing, contribuendo a migliorare la reputazione aziendale. Tutto ciò a fronte di un costo che può andare dai 500 ai mille euro al mese. Oltretutto, pur essendo assegnato da un ente pubblico (Autorità garante della concorrenza) si riesce ad ottenere in tempi relativamente veloci, due o tre mesi, di solito.

Non è un caso che almeno 10 mila imprese lo abbiano già richiesto e ottenuto, e il trend pare in crescita. E non è tutto. Perché ottenere il rating significa anche, nella maggior parte dei casi, mettere la ciliegina sopra la torta della legge 231/2001, cioè blindare le procedure e i modelli organizzativi con una certificazione che ne garantisce la effettiva applicazione. E davanti a un giudice questo elemento non è irrilevante, anche per quanto riguarda i profili di responsabilità degli amministratori.

D’altra parte, il rating di legalità non è sicuramente l’unico strumento proposto negli ultimi anni ai fini di certificare la correttezza e l’affidabilità dei responsabili di imprese, studi professionali o realtà associative in genere, ma si tratta comunque di uno degli strumenti più importanti e di maggior solidità. Nato una decina d’anni fa (con il decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1) in un momento in cui era molto forte la richiesta di moralizzazione della vita politica ed economica che aveva portato anche all’approvazione della legge Severino (l. 6 novembre 2012, n.190), che causò la decadenza dalla carica da Senatore di Berlusconi, l’istituto del rating di legalità venne rinforzato con il dm (Mef-Mise) del 20 febbraio 2014, n. 57. Successivamente venne approvata la cosiddetta Spazzacorrotti (l. 9 gennaio 2019, n. 3) e più recentemente è stata introdotta la riforma della crisi d’impresa. Tutte riforme pensate nell’ottica di moralizzare/certificare l’attività imprenditoriale ed economica in generale e che sostanzialmente si muovono sulle stesse lunghezze d’onda, tanto da formare un sistema sinergico orientato alla trasparenza (almeno dal punto di vista teorico) dell’attività d’impresa. Si tratta dunque di temi che non solo le imprese di grandi dimensioni, ma anche quelle di taglia media, non possono più ignorare.

Marino Longoni – 21 novembre 2022 – tratto da Italia Oggi

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