Il decreto Lavoro cancella le elevatissime sanzioni da 10mila a 50mila euro applicate per le omissioni o ritardi nei versamenti delle ritenute previdenziali operate ai dipendenti. Finora, infatti, anche a fronte di poche decine di euro di versamento omesso o eseguito in ritardo, l’Inps ha chiesto il pagamento di una sanzione di 17mila euro (50mila euro, riducibile a 17mila euro). Ed è quanto capitato a molti contribuenti, i quali, avendo omesso o pagato in ritardo le ritenute previdenziali e assistenziali, anche se di pochi euro, si sono visti recapitare ordinanze ingiunzioni, con richiesta di sanzioni da 17mila euro per ogni anno.

A seguito delle contestazioni dei contribuenti per le penalità applicate, con il messaggio 3516 del 27 settembre 2022, l’Inps le ha in parte ridotte, rimodulando l’importo da applicare e consentendo l’applicazione del minimo di 10mila euro (invece di 17mila euro), con possibilità di ulteriore riduzione alla metà, cioè a 5mila euro.

La conseguenza è che, ad esempio, nel caso di un contribuente che per sei anni ha omesso o pagato dopo i termini versamenti di 50 euro per ogni anno, l’Istituto ha applicato la sanzione 10mila euro per ogni anno, in totale 60mila euro, con possibilità di ulteriore riduzione alla metà, cioè a 30mila euro (5mila euro moltiplicati per sei). Il mini-ravvedimento dell’Inps, tuttavia, non era certo soddisfacente ed era comunque indispensabile l’intervento del legislatore per porre rimedio ad una simile sproporzione.

L’intervento legislativo

Il legislatore è intervenuto modificando la norma e stabilendo che l’omesso pagamento delle ritenute sarà punito con una sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Il rimedio alle sanzioni da 10mila a 50mila euro è previsto dal comma 1 dell’articolo 23 del decreto Lavoro (Dl 48/2023), che ha apportato una correzione all’articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge 463/1983, disponendo la sostituzione delle parole «da euro 10.000 a euro 50.000» con le parole «da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso».

A seguito della modifica, il nuovo comma 1–bis del Dl 463/1983 stabilisce che nei casi di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, per un importo omesso non superiore a 10mila euro annui, è applicabile la sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso.

Il datore di lavoro non è punibile, né assoggettabile alla sanzione, quando provvede al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.

In questo modo, nel caso sopra esemplificato del contribuente che, per sei anni, ha omesso o pagato dopo i termini versamenti di 50 euro per ogni anno, l’Inps, invece di applicare la sanzione di 10mila euro per ogni anno, in totale 60mila euro, con possibilità di ulteriore riduzione alla metà, cioè a 30mila euro, applicherà la sanzione da una volta e mezza a quattro volte l’importo omesso. Con la sanzione minima di una volta e mezza, sull’importo totale di 300 euro (50 euro per sei anni), la sanzione sarà di 450 euro e non 30mila euro.

Effetto retroattivo

Nel rispetto del principio della legge più mite, sancito dalla Corte costituzionale (sentenza 63 del 2019) la nuova legge si applica anche per il passato. Se la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa ripetizione di quanto pagato» (articolo 3, comma 2, del Dlgs 472/1997, titolato “principio di legalità”). Al riguardo, è importante quanto affermato nella relazione governativa al Dlgs 472/19897, nella parte in cui, illustrando il principio del favor rei, si legge che «nel caso di violazione non più sanzionata, il provvedimento, ancorché definitivo, non costituisce titolo per la riscossione delle somme non ancora pagate».

G.Maccarone/T.Morina - 12 maggio 2023 – tratto da sole24ore.com

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