Scatta il reato di molestie se l’agenzia di recupero crediti, tampina il debitore con cinque o sei telefonate al giorno, anche se il destinatario non risponde. La Cassazione, ricorda che il reato previsto dall’articolo 660 del Codice penale, che punisce la molestia e il disturbo, con il telefono o altri mezzi, messa in atto per petulanza o altro biasimevole motivo, c’è anche quando il fine, come nel caso esaminato, è lecito. La Suprema corte, conferma il reato ma salva il titolare della società, perchè l’alto numero di telefonate era frutto dell’iniziativa dei suoi dipendenti, visto che la Srl si era dotata di un codice deontologico. Una policy interna per limitare i contatti telefonici a determinati orari e giorni della settimana, oltre che per «mantenere le iniziative nei corretti binari dell’interlocuzione negoziale».

Il numero di telefonate tollerate

Ma così non era andata, almeno per quanto riguardava la frequenza delle chiamate, documentate dai tabulati dei debitori: fino a 6 al giorno, anche a parenti e conviventi anche con numeri diversi per non farsi “scoprire”. Il Tribunale, a differenza della Cassazione, aveva condannato anche il titolare non trovando convincente l’idea di addossare la responsabilità agli impiegati del call center. Non passa però il tentativo del ricorrente di negare la possibilità di applicare un reato che parla di petulanza e di biasimevole motivo, ad un’attività legittima come il recupero di somme non pagate. In particolare uno dei tartassati doveva ad una società 33mila euro.

Garante della privacy e Codice di condotta

Il legale rappresentante ha fatto presente alla Suprema corte che sia le prescrizioni del Garante della privacy sia il Codice di condotta (capo III) per i processi di gestione del credito, sottoscritto da Unirec e associazioni dei consumatori, consentono contatti con i terzi, cercati anche nei pubblici elenchi, e il trattamento dei dati nei limiti del necessario alla gestione, indicando anche come numero massimo tre colloqui giornalieri con il consumatore debitore: tetto che, per la difesa, non era stato violato. Sul punto però fanno fede i tabulati delle parti civili. Non è utile allo scopo neppure invocare la circolare del ministero degli Interni del 20 dicembre 2021, secondo la quale il recupero del credito dovuto può avvenire «attraverso il rintraccio sia telefonico che telematico o anche domiciliare, del debitore a mezzo consultazione di registri e pubblici elenchi, con rapporti anche con congiunti e terzi in genere».

Chiamate senza risposta e mail

Ma il problema resta il superamento del numero delle chiamate “tollerate” che avviene- sottolinea la Cassazione - anche quando l’utente non risponde. Ad essere incriminato è, infatti, non solo il messaggio molesto che il destinatario ascolta, ma anche quello che è costretto a percepire perché entrambi i tipi di messaggio sono idonei a mettere a rischio la libertà e la tranquillità psichica del ricevente. È, infatti, un’intrusione anche l’invio di una mail, accompagnata da un avvertimento acustico «che ne indichi l’arrivo in forma petulante». Il titolare dell’agenzia, grazie al codice deontologico, anche se rimasto inattuato, è comunque salvo. E la condanna, malgrado il parere contrario del sostituto procuratore della Cassazione, è annullata con rinvio. Mai come in questo caso il ricorrente potrebbe dire ai suoi dipendenti “surtout pas trop des zèle”.

Patrizia Maciocchi - 16 giugno 2023 – tratto da sole24ore.com

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