Scatta il reato di frode in commercio, consumata o tentata per chi vende o detiene olio vergine di oliva greco spacciandolo come italiano. Una condotta per la quale, se la quantità di lattine detenuta non è irrisoria non può essere invocata la non punibilità per la particolare tenuità del fatto.

La Corte di cassazione, conferma la condanna, nella forma tentata, a carico della titolare di un’azienda del Salento, che deteneva in due silos svariati quintali di olio vergine di oliva provenienti dalla Grecia, e all’interno del punto di vendita al dettaglio aziendale lattine da tre e cinque litri con un’etichetta con la scritta «olio estratto in Italia da olive coltivate in Italia 100% italiano».

Tanto è bastato per la condanna e per negare la norma che, grazie alla tenuità del fatto, consente di restare impuniti malgrado il reato.

Il precedente del falso extravergine

La Cassazione si era già occupata dell’olio e, in particolare del falso olio extravergine di oliva. La Suprema corte ha, infatti chiarito che rischia il carcere il titolare della società che produce, confeziona e commercializza come extravergine d'oliva un olio mischiato con i semi. Una condotta che fa scattare un concorso di reati: frode in commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine, con l'aggravante di alterare un prodotto Dop. Due reati che, ad avviso della Cassazione, vanno giudicati in concorso senza possibilità che la frode in commercio assorba la vendita di cibi non genuini, come affermato da altre pronunce in passato. Un giro di vite con il quale la Suprema corte aveva preso le distanze da un principio meno restrittivo e affermato l’aggravante nel caso l’alterazione riguardi prodotti Dop.

Patrizia Maciocchi - 14 settembre 2023 – tratto da sole24ore.com

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