Nel passaggio dal reddito di cittadinanza all’accoppiata assegno di inclusione/supporto per la formazione e il lavoro, resta immutata la difficile situazione dei servizi per il welfare e, in questo ambito, il numero di assistenti sociali in relazione ai residenti. A evidenziare questo aspetto è Gianmario Gazzi, presidente dell’Ordine degli assistenti sociali (quasi 47mila gli iscritti all’Albo), una delle categorie in prima linea quando si tratta di fornire supporto alle persone più fragili.
«La spesa per il welfare in Italia è in linea con la media europea – contestualizza Gazzi – ma si tratta per lo più di trasferimento di denaro sotto forma di bonus, assegni e simili. Nella spesa per i servizi del welfare siamo a un terzo della media europea e quindi sul territorio c’è una rete troppo fragile per accompagnare le persone».

Risorse per i Comuni

Oltre a ciò, nel caso specifico del passaggio dal Rdc ai nuovi strumenti, secondo il presidente degli assistenti c’è anche il nodo delle risorse da trovare per dare ai Comuni gli strumenti con cui accompagnare chi rimarrà escluso dall’Adi e dal Spfl. «Se non si hanno risorse e servizi- sottolinea - c’è il rischio di un problema sociale».
Tornando alla struttura dei servizi, una situazione nel complesso non soddisfacente si caratterizza anche per una forte eterogeneità territoriale. «In occasione della conversione in legge del decreto Lavoro – spiega Gazzi – abbiamo chiesto di portare il livello essenziale degli assistenti dal rapporto di 1 a 5mila residenti a 1 a 4mila e la normativa già dice che si dovrebbe scendere a 4mila, con relativi fondi a disposizione. Tuttavia la situazione non è uguale ovunque: in alcune regioni il rapporto è di 1 a 8mila/9mila, in altre a 2.500. Alcuni territori hanno investito bene su questo fronte (in particolare il Nord Est), anche grazie al terzo settore, altri no. Metà regioni non rispetta il livello essenziale, un altro terzo non raggiunge l’obiettivo di servizio e sta tra 4mila e 5mila».
La responsabilità, però, secondo Gazzi, non è tutta del Governo centrale, perché sulla materia c’è la competenza delle Regioni e quindi manca una responsabilità collettiva.

La proroga

Quanto al problema contingente, cioè il passaggio dal Rdc ai nuovi aiuti, il presidente confida che pur a fronte di un aumento delle domande, i suoi colleghi cercheranno di mettere tutti i richiedenti in tutela entro il 31 ottobre (termine per la presa in carico dei beneficiari del Rdc da parte dei servizi sociali dei Comuni al fine di fruire del reddito fino a dicembre). Ma sarebbe utile concedere «una proroga minima, in modo tale che gli animi di tutti si calmino, e compiere uno sforzo istituzionale complessivo, e gli assistenti sociali sono a disposizione delle istituzioni, per infrastrutturare i servizi in modo tale che chi vi si rivolge possa avere indicazioni e risposte adeguate. Dato che le risorse ci sono, iniziamo a costruire velocemente le strutture al di là delle polemiche sugli strumenti».

Matteo Prioschi - 4 agosto 2023 – tratto da sole24ore.com

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