La Corte di Cassazione dà «scacco» all'esercizio abusivo della professione: con la sentenza 4673/2023, depositata il 21 novembre, infatti, la magistratura ha acceso il «semaforo rosso» su quanti, «senza la prescritta abilitazione», si occupano della tenuta di registri contabili e di redazione delle dichiarazioni dei redditi, mansioni che, se svolte in assenza di necessarie qualifiche, comportano la condanna. E il pronunciamento incassa prontamente il plauso del Consiglio nazionale dei commercialisti che, per bocca del presidente Elbano de Nuccio, fa un passo in avanti: viene, infatti, «costituito un pool di avvocati, per condurre la lotta su tutto il territorio nazionale» a quanti operano in ambiti propri della categoria economico-giuridica, pur privi della essenziale autorizzazione.

Il giudizio della Cassazione

A giudizio dei magistrati, il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, costituisce reato (art. 348 cpp). Una sentenza che, osserva de Nuccio, «ci conforta» nella battaglia condotta dal Consiglio nazionale contro il fenomeno dell'esercizio abusivo dell'attività lavorativa. «Nostro ruolo è anche quello di vigilare e di segnalare alle autorità competenti i casi individuati», e le segnalazioni, prosegue, che «devono essere circostanziate e documentate, in modo da consentire una valutazione adeguata dei comportamenti contestati», che «ci giungono da tutto il territorio nazionale verranno prese in carico e verificate da un gruppo di lavoro interno appositamente istituito», di cui fa parte anche una squadra di legali.

«Condivido che sul territorio nazionale sì vigili, affinché l'abusivismo professionale venga definitivamente estirpato», è il commento del deputato di FdI e coordinatore della Consulta dei parlamentari commercialisti Andrea de Bertoldi, che parla di un pronunciamento «inequivocabile». A intervenire, infine, il presidente dell'Int (Istituto nazionale tributaristi) Riccardo Alemanno: la sentenza «ha ribadito quanto sentenziato dalla stessa Corte nel 2012, ovvero che bisogna sempre fornire «chiare indicazioni» da cui evincere con esattezza la professione svolta e i necessari riferimenti legislativi, onde evitare fraintendimenti, o prevenire tentativi fraudolenti di abuso di professione che condanniamo con fermezza», sottolinea, ricordando che il professionista associativo (disciplinato dalla legge 4/2013) «ha l'obbligo, pena sanzioni irrogate ai sensi del codice del consumo, oltre che dall'associazione di appartenenza, di segnalare in tutti i documenti e comunicazioni, l'attività svolta, la denominazione dell'associazione e il numero di iscrizione».

Simona D'Alessio - 23 novembre 2023 – tratto da Italia Oggi

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