Esenzione fino a 3mila euro da imposte e contributi solo per gli addetti con figli a carico.Le aziende devono calcolare l’importo delle erogazioni già effettuate

L’innalzamento a 3mila euro della soglia di non imponibilità dei fringe benefit per i genitori lavoratori, disposta dal decreto Lavoro (articolo 40) e confermata con la conversione in legge del provvedimento (legge 85/2023 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 153 del 3 luglio) impone ai datori di lavoro una serie di verifiche e di accortezze, nel caso volessero fruire nel proprio piano di welfare della nuova disposizione normativa.

Innanzitutto, l’aumento a 3mila euro, per il 2023, del limite di non imponibilità dei cosiddetti fringe benefit vale per i soli lavoratori dipendenti con figli a carico. Per l’anno d’imposta 2023, quindi, l’erogazione di beni e servizi, anche mediante titoli di legittimazione, più comunemente chiamati voucher, non risulterà imponibile sia ai fini fiscali per i lavoratori, sia a quelli contributivi (secondo un’interpretazione sistematica della norma), tanto per il datore di lavoro quanto per il lavoratore, fino al nuovo limite previsto dal decreto. Per tutti gli altri lavoratori, il limite individuale annuo rimane di 258,23 euro.

Così come accaduto per il 2022, anche per quest’anno sono compresi nel novero dei benefit agevolabili le somme erogate o rimborsate ai lavoratori per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale (anche in questo caso, limitatamente ai lavoratori con figli a carico). Poiché la deroga disposta dal decreto al comma 3 dell’articolo 51 del Tuir riguarda solo il limite da esso previsto, il superamento della soglia annua di non imponibilità, sia per i lavoratori con figli a carico sia per quelli senza figli, comporterà l’assoggettamento a imposte e contributi dell’intero valore dei benefit riconosciuti.

Il superamento della soglia

I datori di lavoro dovranno dunque continuare a prestare molta attenzione al superamento della soglia: ad esempio, l’erogazione oltre i 3mila euro anche di un solo euro comporterà, per i lavoratori, il versamento dell’Irpef e l’assoggettamento a prelievo contributivo, per la quota a loro carico, sull’intero valore dei benefit. E il datore di lavoro sarà tenuto a versare la contribuzione a suo carico.

Le criticità operative

Diverse sono state le critiche al dettato normativo. Sebbene lo scopo della norma, sulla carta, sia quello di supportare la genitorialità, in molti casi, la complessità applicativa potrebbe far sì che la norma – di fatto – comporti solo la “detassazione” del (fringe) benefit auto già assegnato al lavoratore, così come successo con la norma omologa emanata per il 2022.

Certamente non sono pochi i problemi applicativi per le aziende, a partire dal reperimento dell’elenco dei lavoratori con familiari a carico: dall’introduzione dell’assegno unico per i figli, infatti, la maggior parte dei datori non ha più richiesto questo dato, in quanto non è più necessario a gestire le detrazioni in cedolino.

Un primo problema interpretativo riguarda il dato da chiedere ai lavoratori: se hanno figli “potenzialmente” a carico (cioè che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2 del Tuir, come prevede il decreto) o se hanno figli che effettivamente sono dichiarati come tali in dichiarazione dei redditi. Nel secondo caso, per usufruire del nuovo limite, sarà necessario che i figli siano dichiarati a carico al 100% o sarà sufficiente anche solo al 50%? Nel caso di figli a carico al 50%, per come è scritta la norma, sembra che entrambi i coniugi possano fruire del nuovo limite di non imponibilità dei fringe benefit fino a 3mila euro.

Un problema che potrebbe verificarsi prima della fine del periodo d’imposta è il cambio dello status fiscale del figlio: l’essere fiscalmente a carico, infatti, è una condizione che può essere verificata con certezza solo al termine del periodo d’imposta. Ad esempio, un figlio studente liceale potrebbe iniziare a lavorare e, magari, da oggi a fine anno, percepire un reddito che lo porti a non risultare più fiscalmente a carico per il periodo di imposta 2023.

In questo caso, il lavoratore sarebbe costretto a dichiarare il cambio di status al proprio datore di lavoro, il quale dovrebbe riconsiderare quanto erogato durante il periodo di imposta a titolo di fringe benefit, prendendo a riferimento la minore soglia di non imponibilità di 258,23 euro, e non più quella di 3mila euro. In caso di superamento dell’ordinario limite previsto dal comma 3 dell’articolo 51 del Tuir, il datore dovrebbe effettuare un conguaglio, assoggettando a ritenute fiscali e contributive l’importo erogato, nonché procedere a versare la quota di contribuzione a suo carico, sostenendo così un costo non preventivato.

Le azioni sul piano welfare

Per tutte queste ragioni, le imprese devono strutturare le procedure interne in modo da fare tutte le verifiche necessarie all’eventuale aggiornamento del proprio piano di welfare. Quindi, per applicare la nuova soglia di non imponibilità, dovranno identificare i lavoratori che sono potenzialmente beneficiari dell’agevolazione, verificare con precisione il valore dei benefit già erogati nel 2023, stimando la capienza del plafond individuale dei lavoratori, programmare le erogazioni future.

Diego Paciello - 21 luglio 2023 – tratto da sole24ore.com

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