La tassa sul digitale verrà applicata a tutte le aziende, non solo ai colossi del web come Google o Facebook. A specificarlo è stato Eduard Folch Sogas, membro della direzione generale alla fiscalità e dell'Unione doganale della Commissione Ue, durante la commissione speciale Tax 3. Sogas ha dunque spiegato come anche un'azienda tradizionale se vende dati che gli utenti stessi producono sarà sottoposta automaticamente alla tassazione digitale. Questa opzione non è così remota, perché come specifica la Commissione, nell'economia digitale il valore è spesso creato da una combinazione di algoritmi, dati degli utenti, funzioni di vendita e conoscenza. Un utente può dunque «contribuire» alla creazione di valore di una società condividendo le sue preferenze su un forum, o mettendo il «like» a una pagina. Questi dati vengono poi usati per le pubblicità mirate, che porteranno futuri incassi alle aziende. La Commissione vorrebbe inoltre imporre una tassazione non tanto nel paese dove l'utente ha prodotto i dati, ma piuttosto nel luogo fisico in cui sono stati sviluppati gli algoritmi pubblicitari usati dalla società. C'è però da sottolineare come la tassa sul digitale non andrà a colpire le piccole società perché nella proposta di breve periodo, presentata a marzo dalla Commissione, sono soggetti alla tassazione tutti quei soggetti che hanno una presenza digitale significata in uno stato membro Ue. Se dunque si dovesse superare la soglia di sette milioni di euro di entrate annuali, proveniente da servizi digitali in uno stato Ue, se si hanno più di 100 mila utenti che usano i servizi digitali prodotti, più di 3 mila contratti aziendali per servizi digitali, un fatturato annuo globale superiore ai 750 milioni di euro o europeo sopra i 50 milioni di ero, allora si sarà sottoposti alla tassa sul digitale. Questi criteri escludono dunque, in partenza, tutte le piccole società e le start-up innovative nazionali. La Commissione ha precisato la volontà di raggiungere una soluzione Europea entro la fine dell'anno, ma spera che l'Ocse possa concretizzare gli sforzi dando una risposta globale entro e non oltre il 2020. Eric Robert, rappresentante dell'Ocse, ha specificato come si stia lavorando per una soluzione di lungo periodo e che il lavoro verte sui business model digitali, non sulle singole aziende del digitale. Entro il 2020 l'Ocse «farà dei passi avanti» dichiara Robert. Questa fiducia deriva soprattutto dal fatto che gli Stati Uniti d'America si sono dichiarati più aperti a identificare e trovare soluzioni in campo digitale. Il problema degli Usa, ha sottolineato Robert, era di una certa importanza, dato che sistematicamente bloccavano gli sforzi comuni. Un altro ostacolo che l'Ocse sta cercando di aggirare sono le percezione dei singoli paesi. Secondo un lavoro intermedio, dell'Organizzazione, gli stati possono essere classificati in tre categorie, in base alla loro convinzione digitali. Nel primo gruppo ci sono tutti quei paesi che ritengono come il problema principale della digitalizzazione sia la partecipazione degli utenti. In questo caso, questi sono disposti a modificare in modo mirato la normativa fiscale esistente. Il secondo gruppo è composto da chi ritiene che la digitalizzazione sia un fenomeno più complesso, legato alla globalizzazione. In questo caso le riforme devono essere applicate a tutto il comparto economico. E infine il terzo gruppo di paesi ritiene che quando verranno applicati in modo definitivo i Beps, anche il «problema» delle economie digitali si risolverà. Inoltre, il rappresentante dell'Ocse ha specificato come l'Organizzazione sta monitorando le singole iniziative prese dagli stati in campo di tassazione digitale. Le singole azioni, specifica Robert, non devono però andare a ostacolare il percorso che sta facendo l'Ocse.

Giorgia Pacione Di Bello - 13 settembre 2018 – tratto da Italia Oggi

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