Secondo l'articolo 6 del dl 119/2018 (convertito in l. 136/2018) possono essere definite mediante pagamento di una somma di denaro «le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio». Invece, secondo l'Agenzia delle entrate (circolare n. 10 del 15 maggio 2019), non sarebbero suscettibili di essere definite «le liti aventi ad oggetto avvisi di liquidazione relativi all'applicazione dell'imposta di registro agli atti giudiziari […] avendo essenzialmente una funzione di riscossione dell'imposta». L'amministrazione tributaria opera una distinzione tra atti impositivi di diversa natura, che non è prevista dalla legge.

La circolare n. 10/2019 non contiene alcun altro elemento di chiarimento. Ed è stata adottata quindici giorni prima della scadenza per la presentazione delle domande di definizione agevolata, mesi dopo l'apertura del termine con la pubblicazione dei modelli predisposti dall'Agenzia delle entrate a tale scopo.

Già in passato l'Agenzia delle entrate aveva tentato un analogo distinguo. Nell'art. 16 della l. 289/2002 era stata introdotta infatti una norma in tutto e per tutto analoga a quella del dl. 119/2018, con la possibilità di definizione agevolata delle controversie relative agli «avvisi di accertamento, i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione». Ebbene, allora, secondo l'amministrazione finanziaria, sarebbero dovute rimanere escluse dalla definizione le liti relative ad atti di «mera liquidazione».

Contro tale posizione dell'Agenzia delle entrate si scatenò a suo tempo un vasto contenzioso, concluso con una pluralità di sentenze, dalla cui lettura si comprende che secondo l'Agenzia delle entrate il termine «atti impositivi» (o «atti di imposizione») consente la seguente distinzione: si possono definire le liti sugli atti in cui l'amministrazione esercita un potere discrezionale, la cui contestazione incardina una controversia vera e propria. Le liti sugli «atti di mera liquidazione» no, perché non ci sarebbe nulla da contestare in un mero calcolo materiale. Questo dev'essere il concetto alla base della circolare 10/2019: la liquidazione dell'imposta di registro su atti giudiziari sarebbe sempre un mero atto di riscossione, un esercizio di calcolo.

Ma la Corte di cassazione tra il 2002 e il 2018 ha sempre detto una cosa diversa. «Il carattere meramente liquidatorio, e non impositivo, dell'atto deve essere desunto dal contenuto sostanziale e dalla funzione di quest'ultimo, non già dalla sua rubricazione nominale e qualificazione formale». La frase, tratta da una delle sentenze più recenti (n. 13136/2016), conferma un orientamento consolidato: è necessaria un'analisi del contenuto sostanziale degli atti per poter stabilire, di volta in volta, se si tratta di atti di mera riscossione o impositivi. E quindi se sia possibile o no definire le liti che li riguardano.

Dunque, gli uffici operativi dell'Agenzia delle entrate non dovrebbero rigettare indiscriminatamente le domande di definizione delle liti relative ad avvisi di liquidazione dell'imposta di registro su atti giudiziari, ma effettuare una valutazione caso per caso. Però se faranno una valutazione caso per caso contravverranno alla circolare; e se rigetteranno senza distinzioni, i contribuenti potranno impugnare il provvedimento davanti al giudice (che con tutta probabilità seguirà l'orientamento consolidato della Cassazione).

In parlamento l'anomalia, che di fatto mette in discussione il primato della legge, è stata segnalata in una recente interrogazione del deputato Emilio Carelli al Ministro dell'economia.

Del resto, il legislatore aveva dichiarato la «pace fiscale», la pubblica amministrazione pare aver risposto con una dichiarazione di guerra: mantenere in piedi le controversie tributarie pendenti, anzi raddoppiarle.

Domenico Dodaro – 03 agosto 2019 – tratto da Italia Oggi

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