La pensione mette d'accordo, nel senso che scontenta quasi tutti. Chi già la percepisce, perché ha dovuto subire il congelamento della rivalutazione (comunque minima) dell'assegno e magari anche l'introduzione del contributo di solidarietà. Chi la considerava ormai a portata di mano, ma per effetto della riforma del 2011 l'ha vista allontanarsi anche di diversi anni (esodati ma non solo). Chi in pensione ci dovrà andare tra un po' di anni e, quale effetto dell'adeguamento dei requisiti all'aspettativa di vita, quasi sicuramente vedrà il traguardo spostarsi sempre più in là con il trascorrere del tempo.

I requisiti necessari per smettere di lavorare e incassare l'assegno previdenziale sono definitivi solo per quest'anno e l'anno prossimo. Per la pensione di vecchiaia si oscilla, nella generalità dei casi, da 63 anni e nove mesi a 66 anni e tre mesi. Per accedere a quella anticipata, le donne devono aver versato 41 anni e sei mesi di contributi, gli uomini un'annualità in più.
Dal 2016 i valori elaborati finora dovranno essere adeguati alla speranza di vita rilevata dall'Istat e così avverrà con cadenza triennale e poi biennale. Inoltre, in base a quanto prevedono le norme, i requisiti minimi non potranno essere ridotti anche se l'aspettativa diminuirà. Al netto di ulteriori aggiornamenti, età o anni di contribuzione aumenteranno di un anno ogni decennio.

Ma, oltre che con la variabilità dei requisiti, si deve fare i conti con l'importo dell'assegno che si incasserà. Conclusa l'epoca del sistema retributivo, per cui la pensione era rapportata alle ultime annualità di stipendio, con il contributivo si incasserà in base a quanto si è versato durante la vita lavorativa, quanto tale importo si è rivalutato e all'anno di pensionamento. Ciò significa che chi avrà una carriera regolare e magari si tratterrà al lavoro oltre i minimi potrà arrivare a un tasso di sostituzione anche dell'80%. Mentre chi alternerà impiego e disoccupazione rischia di avere un assegno di importo ridotto.
Una prospettiva che accomuna lavoratori dipendenti e autonomi e che si può contrastare, risorse permettendo, ricorrendo alla previdenza complementare, che consente di alzare il tasso di sostituzione anche di 10-15 punti percentuali.

Matteo Prioschi/Fabio Venanzi - 15 agosto 2014 – tratto da sole24ore.com

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