Anche in presenza di gravi difficoltà economiche, risponde del reato di omesso versamento l'imprenditore che decida di pagare integralmente le retribuzioni senza però versare all'erario le ritenute previdenziali cui è tenuto. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 37730/2014 , chiarendo che anche il sopraggiunto fallimento non scrimina l'operato dell'imprenditore che dunque non potrà invocare l'assenza dell'elemento psicologico.

Il dolo generico - Spiegano, infatti, gli ermellini che «ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento di ritenute d'acconto, è richiesto il dolo generico». Vale a dire la conoscenza dell'esistenza dell'obbligo di versamento delle ritenute certificate e la volontà di non adempiere. Dunque, «l'imprenditore è tenuto ad operare con diligenza nel valutare il volume di affari ed i conseguenti obblighi verso il fisco con la conseguenza che non può invocare a sua discolpa la mancata consapevolezza che l'ammontare dei tributi evasi superi la soglia di punibilità».

Gli obblighi del datore - Riguardo poi alle difficoltà finanziarie, «invocate come una sorta di esimente» dall'adempimento degli obblighi tributari, ricorda la Cassazione che «lo stato d'insolvenza non libera il sostituto d'imposta, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute cosi come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte». Ed anche il sopravvenuto fallimento non è sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento, «essendo preciso obbligo del sostituto d'imposta quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere al proprio obbligo tributario, anche se ciò comporta l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare».
«Dunque - continua la sentenza - l'imprenditore il quale decida, in presenza di una situazione economica difficile, di dare preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute all'erario, non potrà addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato».

La fonte di prova - Quanto poi alla fonte di prova gli ermellini, al termine di una articolata ricostruzione normativa, chiariscono che è del tutto condivisibile l'assunto dei giudici di merito secondo cui «il rilascio della certificazione (e quindi della effettiva corresponsione delle retribuzioni e delle trattenute operate) potesse ricavarsi dal modello 770, considerato dato assolutamente non equivoco, in quanto proveniente dallo stesso datore di lavoro obbligato» che in veste di sostituto di imposta, aveva dichiarato l'ammontare da lui dovuto a titolo di ritenute sui redditi.

Francesco Machina Grifeo - 17  settembre 2014 – tratto da sole24ore.com

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