Qualche giorno fa a mia madre è arrivata una raccomandata da parte del Comune di residenza, che la invita a integrare, con molteplici documenti, la domanda di condono edilizio presentata nel lontano 1986. Preciso che sull'immobile oggetto del condono vengono pagate l'ex Ici, attuale Imu, la tassa sui rifiuti eccetera. La documentazione che abbiamo consiste nella fotocopia della domanda con la ricevuta di presentazione , nei versamenti dell'oblazione e in una serie di planimetrie e cose simili. Può il Comune chiedere, a distanza di 20 anni, la documentazione che definisce mancante? Può un immobile essere dichiarato abusivo se su di esso vengono pagate le tasse? M. F. VICENZA

È un fenomeno diffuso, quello del ritardo nell'esame delle domande di condono edilizio, con il risultato che si generano situazioni di incertezza anche nella commercializzazione degli immobili. Avviene infatti che, anche a distanza di 30 anni, il Comune invii richieste di ulteriore documentazione che provocano sconcerto nei destinatari, in alcuni casi neanche titolari dell'originaria istanza di sanatoria.

I limiti generali 
Tutto ciò nonostante il fatto che siano state emanate negli ultimi anni disposizioni che impongono termini precisi per concludere i procedimenti su istanza del privato, riconoscendogli il diritto ad avere una risposta tempestiva da parte della pubblica amministrazione. Nel nostro ordinamento esistono princìpi generali, contenuti nel Dpr 380/2001 (testo unico edilizia), che impongono all'amministrazione di acquisire d'ufficio i documenti, le informazioni e i dati, compresi quelli catastali, che siano in suo possesso, e la stessa non può chiedere attestazioni o perizie sulla loro autenticità e veridicità (articolo 9bis). Questi princìpi sono spesso disattesi dagli enti locali, i quali, in questo modo, trascurano di tenere presente che si è in presenza di una violazione di legge.
I documenti obbligatori 
Si deve sottolineare che il condono edilizio, nel rispetto delle condizioni, è un atto dovuto, che non lascia margini di discrezionalità nell'istruttoria della domanda. La legge 47/1985 elenca gli allegati alla domanda di sanatoria, necessari per la sua ricevibilità: versamento dell'oblazione; descrizione delle opere abusive; documentazione fotografica circa lo stato dei lavori; certificato di residenza o di iscrizione alla Camera di commercio per ottenere riduzioni; perizia giurata per opere superiori a 450 metri cubi. La circolare del ministero dei Lavori pubblici 3357/1985 afferma che la documentazione è presentata anche nell'interesse del privato, in quanto deve dargli certezza del suo diritto, e solo la chiara documentazione di ciò che è stato sanato lo metterà al riparo da futuri accertamenti di abusi presunti. Se, dunque, la richiesta del Comune riguarda quanto viene elencato dalla legge, specialmente per l'identificazione dell'abuso, essa è da ritenere legittima, poiché la carenza impedisce l'esame della domanda, tanto è vero che l'articolo 39, comma 4, della legge 724/1994 (secondo condono edilizio) ha stabilito che la mancata presentazione, entro tre mesi dalla richiesta, dei documenti previsti per legge come obbligatori comporta l'improcedibilità della domanda e il conseguente diniego del condono.
Le ulteriori richieste 
Si deve evitare che, attraverso le reiterate richieste da parte dell'amministrazione, la domanda di condono resti inevasa a tempo indeterminato. Bisogna, infatti, considerare che ci si trova di fronte a una opera già realizzata, e non a una ancora da edificare, per cui non può essere chiesta la documentazione tipica relativa all'ordinario rilascio del provvedimento. Il trascorrere del tempo rileva ai fini dell'accoglimento della domanda, poiché, ove l'opera abusiva non sia soggetta a vincoli di tutela o inedificabilità, il decorso del termine, qualificato come perentorio, di 24 mesi dalla presentazione dell'istanza (completa di tutta la documentazione di legge) fa sì che questa si intenda accolta, a patto che l'interessato provveda al pagamento delle somme dovute a conguaglio e alla presentazione della richiesta di accatastamento. Anche la richiesta di oneri concessori è soggetta a prescrizione decennale e di 36 mesi per l'oblazione. La richiesta ulteriore di documentazione non può, perciò, avvenire in un momento in cui essa non è in grado di precludere effetti già determinatisi per legge con la formazione del silenzio-assenso. In sostanza, si è in presenza di una situazione analoga a quella che si verificherebbe se si chiedessero documenti dopo il rilascio del permesso di costruire.
I rimedi 
Per evitare le richieste sine die come se il procedimento fosse sempre pendente, l'interessato deve far valere la maturazione del silenzio-assenso sulla domanda di sanatoria, contestando la non rilevanza ai fini di legge della documentazione richiesta e diffidando il Comune a rilasciare il provvedimento di sanatoria. Lo spontaneo assolvimento di obblighi fiscali, come l'accatastamento o il pagamento di tributi, non è invece probatorio per l'avvenuta regolarizzazione edilizia: è anzi vero il contrario, ossia lo stato urbanistico e quello catastale, nonché quello di fatto, devono coincidere ai fini della commerciabilità dell'immobile ex Dl 78/2010.

 
Deroghe «territoriali» 
Le Regioni, con proprie leggi e regolamenti, possono derogare alle disposizioni del decreto del ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, in materia di limiti di distanza tra fabbricati
(Dl 21 giugno 2013, n. 69)
Emergenza abitativa 
Il Dl sulle misure urgenti per l'emergenza abitativa è intervenuto sulla tipologia degli interventi per la cui realizzazione occorre il permesso di costruzione, descritta all'articolo 3, comma 1, lettera e.5 del Dpr 380/2001. Per i soli alloggi di edilizia residenziale sociale sono ammesse variazioni di destinazioni d'uso degli edifici anche senza esecuzione di lavori. Su questi alloggi sono anche possibili interventi di sostituzione edilizia mediante la totale demolizione dell'edificio e la ricostruzione con modifica di sagoma e diverso sedime all'interno del lotto di riferimento.
(Dl 28 marzo 2014, n. 47)
«Sblocca Italia» 
Il decreto “Sblocca Italia” cambia la definizione degli interventi di manutenzione straordinaria. Vi rientrano anche le opere che comportano la modifica del numero delle unità immobiliari, delle loro superfici e del carico urbanistico, a condizione di mantenere inalterata la volumetria complessiva dell'immobile e la sua originaria destinazione d'uso. Ampliata anche la lista degli interventi di manutenzione ordinaria, con l'inserimento dell'installazione delle pompe di calore aria-aria di potenza termica utile inferiore a 12 kw. Ai Comuni è data la possibilità di favorire, in alternativa all'espropriazione, la riqualificazione delle aree sulle quali insistono edifici che lo strumento urbanistico comunale ritiene incompatibili con gli indirizzi della pianificazione. Per rendere possibile la riqualificazione, l'amministrazione comunale può promuovere forme di compensazione compatibili con l'interesse pubblico. Gli interventi per i quali non è richiesto il permesso di costruzione, e che non rientrano tra le attività di edilizia libera, sono tutti realizzati con Scia. La Dia resta solo come alternativa al permesso di costruire.
(Dl 12 settembre 2014, n. 133) 

Massimo Ghiloni – 08 dicembre 2014 – tratto da sole24ore.com

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