Ho recentemente letto che una sentenza della Corte di giustizia europea ha reso possibile chiedere la rimozione di una pagina web in cui sono contenute informazioni personali di un soggetto: come funziona la procedura per contattare Google e quali sono i criteri che consentono di avere “diritto all'oblio”? La cancellazione delle pagine web riguarda solo i risultati delle ricerche effettuate tramite Google o anche quelle degli altri motori di ricerca utilizzati su internet?
R.A. GENOVA

Lo scorso maggio una sentenza della Corte di giustizia europea, chiamata a decidere sul caso Google Spain, ha riconosciuto il diritto a ottenere la deindicizzazione di alcuni risultati dai motori di ricerca, provocando una reazione degli operatori, diretti interessati, per certi versi sorprendente.
La domanda
Tanto Google, quanto gli altri motori di ricerca, infatti, si sono adoperati per istituire una piattaforma all'interno dei propri siti per permettere la raccolta, da parte degli interessati, delle richieste di rimozione di link a notizie ritenute non più attuali. Un dato significativo riguarda proprio il novero dei soggetti che si sono attivati per dare attuazione alla sentenza: non solo Google Spain, diretta parte in causa nel giudizio di Lussemburgo; ma anche in primo luogo gli altri motori di ricerca nazionali gestiti da Google e – in secondo luogo gli operatori diversi da Google, presenti sul mercato, come Yahoo! e Bing. Del resto, pur trattandosi di un giudizio direttamente vincolante nei confronti della sola consociata iberica di Google, l'interpretazione che la Corte di giustizia ha fornito, qualificando il fornitore di un servizio di ricerca, ha nei fatti reso azionabile la pretesa all'oblio nei confronti di qualsiasi operatore. Peraltro, la portata di questa decisione si è rivelata andare ben oltre i confini europei: alcune settimane dopo la decisione della Corte di giustizia, è stata una Corte canadese a imporre a Google di rimuovere i collegamenti non solo dalla versione “nazionale” del motore di ricerca, ma anche da quelle di altri Paesi.
Va poi ricordato che la rimozione operata dai motori di ricerca non riguarda la notizia in sé, che continua a essere accessibile dal sito che la ospita, ma solo il collegamento
generato utilizzando una determinata parola chiave. In questo modo, è preservata la possibilità per il pubblico di ottenere informazioni, senza esporre l'interessato alla riproposizione di notizie risalenti, talora destinata a tradursi in una gogna mediatica.
La valutazione
Le riserve maggiori che questo sistema desta riguardano, invece, i criteri in base ai quali i motori di ricerca, investiti di fatto di una funzione di rilevanza paracostituzionale, possono procedere alla deindicizzazione. Il meccanismo introdotto dai motori di ricerca prevede la presa in carico della richiesta da parte di un team di esperti, che valuta se l'istanza meriti accoglimento o meno. Nel termine di circa due mesi, rende una risposta all'interessato, cancellando in caso di accoglimento il collegamento dai risultati della ricerca. Solo l'interessato, cui i dati personali trattati si riferiscono, può domandare la rimozione dei risultati di ricerca: è soltanto questi, infatti, a poter esercitare i diritti che la normativa a livello europeo prevede.
Il criterio
Il vero problema è che la Corte di giustizia ha omesso di indicare con limitate eccezioni legate all'informazione giornalistica su quali basi una richiesta di deindicizzazione possa essere accolta. Proprio questa lacuna, assai seria se si pensa alle conseguenze della decisione sulla libertà di informazione, rischia di aggravare la posizione dei motori di ricerca, che in quanto titolari del trattamento di dati personali sono ora costretti a un complesso processo di verifica, funzionale alla valutazione delle richieste degli interessati e alla eventuale rimozione di link. Questo aggravio appare in controtendenza rispetto alla tutela della libertà di impresa, soprattutto perché è la stessa normativa europea a considerare i motori di ricerca come operatori neutrali, non responsabili per i contenuti trasmessi. La lettura della Corte di giustizia sovverte questa logica, da un lato accordando una tutela quasi assoluta ai dati personali, dall'altro trascurando l'impatto sul modello di business dei motori di ricerca. Se le statistiche rivelano un accoglimento solo parziale delle richieste di deindicizzazione, non è ancora dato comprendere su quali basi gli operatori abbiano fondato le proprie determinazioni.

ATTENTI A…
I SITI SPECIALIZZATI
Stanno comparendo su internet diversi siti che offrono il servizio di conservazione delle password degli utenti e che, in caso di morte, si occupano di recapitare le password di account, email e conti online alle persone che il defunto ha indicato. Chi sceglie di affidarsi a questi servizi online deve, però, tenere a mente alcuni aspetti importanti.
PASSWORD
Se si sceglie di affidarsi a un sito internet specializzato, bisogna ricordarsi di aggiornare le password dei propri account e della propria posta elettronica ogni volta che queste vengono sostituite (cosa che è sempre utile fare periodicamente).
AFFIDABILITÀ
Prestare molta attenzione all'affidabilità a lungo termine del sito: negli Stati Uniti, per esempio, è stato improvvisamente chiuso il sito www.mywebwill.com a cui moltissimi utenti avevano affidato le proprie volontà “digitali”.
ATTACCHI HACKER
È bene considerare il livello di sicurezza del sito che si sceglie di usare per archiviare le proprie password, visto che questo potrebbe subire un attacco hacker.
FABBRO DIGITALE
Se una volta i documenti venivano conservati in cassaforte e per recuperarli, in mancanza delle chiavi, serviva un fabbro, oggi – ricorda il Notariato – per recuperare i dati conservati in hardware come computer, tablet, smartphone eccetera, in mancanza delle password, ci si può rivolgere a servizi specializzati che possono tentare di violare le protezioni e accedere ai dati. Ma si tratta di un servizio molto costoso, e in ogni caso la società dovrebbe verificare che il richiedente abbia diritto di accedere all'hardware.
MESSAGGI E VIDEO
Esistono anche servizi online che permettono di registrare dei videomessaggi che verranno recapitati ai destinatari indicati dall'utente: anche in questo caso, è importante tenere aggiornate le informazioni e i messaggi che si vogliono far recapitare.

MASSIME E SENTENZE
L'aggiornamento online
La Corte di cassazione ha riconosciuto il diritto dell'interessato a ottenere la contestualizzazione di una notizia contenuta nell'archivio online di un giornale che abbia registrato successive evoluzioni. Una notizia non aggiornata equivale infatti a una notizia non vera. Tale aggiornamento richiede l'inserimento nel corpo del testo, a margine della notizia, dei riferimenti necessari a rendere conto degli sviluppi fattuali.
Cassazione civile, 5 aprile 2012, n. 5525
La notizia rimovibile
In assenza di un apprezzabile interesse pubblico alla perdurante diffusione di una notizia contenuta nell'archivio online di un giornale, quest'ultima può essere senz'altro rimossa, potendo la finalità archivistica per la quale la notizia è pubblicata essere egualmente soddisfatta mediante la conservazione di una copia cartacea del quotidiano.
Tribunale di Milano, 26 aprile 2013, n. 5820
Rimedio alla diffamazione
Se un diritto alla contestualizzazione di una notizia contenuta nell'archivio online di un giornale sussiste quando si tratti di una notizia vera, a maggior ragione tale pretesa sussiste quando la notizia pubblicata sia stata riconosciuta diffamatoria da una sentenza definitiva. In tal caso, il giornale è obbligato a inserire un collegamento al dispositivo della sentenza, o a dare comunque conto, nel testo dell'articolo, dell'accertata natura diffamatoria della notizia.
Corte d'appello di Milano, 27 gennaio 2014
La tutela internazionale
Il diritto a ottenere la rimozione dai risultati di ricerca di un collegamento a una notizia non sussiste soltanto nei confronti della versione nazionale del motore di ricerca che abbia ricevuto la richiesta di deindicizzazione, ma anche nei confronti delle altre versioni del sito disponibili in Paesi diversi.
Supreme Court of British Columbia, 13 giugno 2014

Oreste Pollicino - 22/12/2014 – tratto da sole24ore.com

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