Dopo alcuni anni di attività come libero professionista, iscritto all'albo dei consulenti del lavoro, sto valutando l'opportunità di unirmi ad altri due colleghi per avviare uno studio in comune. Stiamo vagliando le diverse soluzioni disponibili e vorremmo saperne di più rispetto all'opzione della società tra professionisti (Stp) per valutare le diverse implicazioni a livello fiscale, contabile e previdenziale. Vorremmo inoltre sapere quali sarebbero i vantaggi della Stp nel caso dovesse entrare nella compagine, in un secondo tempo, anche un socio finanziatore o un socio professionista iscritto a un altro albo, che nel caso specifico sarebbe un commercialista. G.L. LODI

Nell'attuale panorama, l'esercizio in comune della o delle professioni può avvenire utilizzando diverse forme di “associazionismo”. Sebbene con la legge 183/2011 siano state ufficialmente introdotte le società tra professionisti (Stp), resta la possibilità di costituire anche altre forme di società o associazioni (possibilità mai esplicitamente confermata da parte dell'Amministrazione finanziaria, ma neppure smentita e basata sul tenore letterale della norma).

Le formule ammesse
È bene far presente, infatti, andando in ordine cronologico, che con la legge 1815/1939 fu introdotta la possibilità di svolgere la professione in forma associata per quelle «persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all'esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l'esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate». Sono così nati i cosiddetti “studi associati” che potevano, e ancora possono, coinvolgere professionisti esercenti anche attività diverse fra loro. Da un punto di vista fiscale, tale tipologia di soggetti soggiace alle regole della determinazione del reddito valide per il lavoro autonomo, seguendo il principio di cassa e imputandolo per trasparenza agli associati stessi. A fianco di questa forma di associazione, nel 2001, con il Dlgs n. 96, fu data la possibilità, ai soli avvocati, di costituire la «società tra professionisti » che, per distinguerla da quella introdotta dalla legge 183/2011, è stata ridenominata dalla legge 161/2014 in «società tra avvocati» (Sta). Tale tipologia di società, che segue le regole civili della Snc, produce un reddito di lavoro autonomo che soggiace al regime di cassa e al regime di trasparenza, con sua imputazione, quindi, ai soci, così come avviene per l'associazione tra professionisti. Nel 2006, all'interno del Dlgs n. 163, noto anche come “Codice dei contratti pubblici”, viene di fatto previsto che gli ingegneri possano unirsi in società per svolgere l'attività professionale. Nascono così le società di ingegneria, che possono assumere la forma di società di capitali o di società cooperative, e che, come chiarito dall'agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 56/E del 2006, producono reddito d'impresa.
Tale presa di posizione dell'Amministrazione finanziaria ha creato una rottura per quanto concerne la convinzione che ove vi fossero solo professionisti, in qualunque modo fra loro “associati”, si fosse di fronte alla produzione di un reddito di lavoro autonomo. Questa eccezione è oggi ripetuta per quanto concerne le “società tra professionisti”, introdotte nel nostro ordinamento giuridico dalla legge 183/2011. Si tratta di società che possono assumere la forma sia di società di capitali, che di società di persone o di cooperative, ove è possibile esercitare, così come chiarito dal decreto dell'8 febbraio 2013 «una o più attività professionali per le quali sia prevista l'iscrizione in apposti albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico». Tali società possono essere, quindi, anche multidisciplinari e unire soggetti esercenti professioni tra loro diverse. Non solo: alla società possono anche partecipare, così come prescritto dalla norma, soggetti «non professionisti», ma «soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento ». In questo ultimo caso, però, il numero dei soci professionisti, nonché la partecipazione al capitale sociale degli stessi deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci.

La tassazione
Tornando alla domanda del lettore, si ribadisce che, dal punto di vista della determinazione del reddito, la “nuova” società tra professionisti (Stp) deve utilizzare le regole del reddito d'impresa e, pertanto, non troverà applicazione la ritenuta d'acconto sui compensi che verranno fatturati. A tale conclusione si arriva, in assenza di una presa di posizione ufficiale da parte dell'Amministrazione finanziaria, partendo dal fatto che il decreto legislativo n. 175, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 277 del 28 novembre 2014, noto come “decreto-Semplificazioni”, conteneva una norma che disponeva la tassabilità per cassa del reddito prodotto dalle Stp. Tale norma, però, è stata stralciata dal testo definitivo del decreto, trasmettendo così il messaggio che in realtà le società tra professionisti devono determinare il reddito che “naturalmente” il tipo di società adottata produrrebbe, ossia quello d'impresa. A rafforzare questo tipo di conclusione vi è anche l'interpretazione resa l'8 maggio e il 16 ottobre scorso dalla direzione centrale normativa dell'agenzia delle Entrate, in risposta a due richieste di consulenza giuridica, che sostiene la produzione di reddito d'impresa da parte delle Stp.

Il contributo integrativo
Da un punto di vista previdenziale, allo stato attuale sembra dovuto il contributo integrativo, visto quanto sostenuto sia dall'Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili sia dai consulenti del lavoro, in loro documenti ufficiali emanati.

L'aspetto contabile
Per quanto concerne il risvolto contabile, la Stp potrà applicare i regimi stabiliti per le diverse tipologie societarie: così, a titolo esemplificativo, una società tra professionisti costituita come società di capitali dovrà adottare il regime contabile “ordinario”, nel rispetto delle norme civili e tributarie vigenti. Infine, con riferimento alla successiva inclusione nella compagine sociale di un eventuale ulteriore socio, professionista o meno (con i limiti di partecipazione già visti), il vantaggio sarebbe quello di poter gestire la sua “entrata” sia attraverso la cessione di partecipazioni, di uno o più degli altri soci, sia attraverso altri meccanismi quali, ad esempio, l'aumento del capitale sociale sottoscritto solo dal nuovo soggetto.

RESTA LA SOCIETÀ SEMPLICE 
Per una dottrina maggioritaria, i professionisti possono costituirsi in società semplice, tipologia utilizzabile per le attività economiche non riconducibili a quelle cosiddette di natura “commerciale”. Tale considerazione è sostenuta anche dal fatto, come sottolineato dal Notariato nel documento di “Studio n. 2242014/I, che si è spesso teso «se non a qualificare almeno ad applicare le norme sulla società semplice in caso di lacune nel regolamento contrattuale» delle associazioni tra professionisti.

MASSIME E SENTENZE

L'azione di responsabilità
La Cassazione ha chiarito che l'inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente. Infatti l'articolo 2395 del Codice civile richiede fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi, come si evince, fra l'altro, dall'utilizzazione dell'avverbio «direttamente», la quale esclude che detto inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all'azione di responsabilità.
Cassazione, sezione I, 5 agosto 2008, n. 21130

Danno da bilancio falso
Secondo la Suprema corte costituisce danno diretto, che legittima la proposizione di un'azione individuale di responsabilità nei confronti degli amministratori, quello risentito nella propria sfera patrimoniale da chi, per effetto di una inveritiera rappresentazione di bilancio, abbia acquistato per un determinato prezzo azioni di una società aventi, in realtà, valore nullo.
Cassazione, sezione I, 12 giugno 2007, n. 13766

La sottrazione di dividendi
Fin quando l'assemblea non disponga la distribuzione degli utili in favore dei soci, l'asserita sottrazione indebita di tali utili a opera dell'amministratore di società a responsabilità limitata lede il patrimonio sociale e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull'interesse economico del singolo socio, cui non compete pertanto l'azione contemplata dall'articolo 2395.
Cassazione, sezione I, 28 maggio 2004, n. 10271

La responsabilità
L'azione di responsabilità (articolo 2395) non può essere esperita al fine di ottenere il risarcimento del danno subito dal socio in conseguenza del compimento di atti di mala gestio da parte degli amministratori della società in quanto il danno lamentato dal socio non è prodotto direttamente dall'atto contestato, ma si pone solo come risultato indiretto del depauperamento del patrimonio.
Cassazione, sezione I, 8 gennaio 1999, n. 97

Michele Brusaterra - 15/12/2014 – tratto da sole24ore.com

 

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