Le modifiche alla proposta di concordato preventivo, anche se migliorative e relative solo alle modalità di esecuzione del piano, comportano il rigetto della omologazione se sono avvenute dopo la conclusione delle operazioni di voto dei creditori.

La Prima civile della Cassazione (sentenza 8575/15, depositata ieri) ha cassato una decisione dell’Appello di Firenze che, nel febbraio dello scorso anno, aveva resuscitato il concordato preventivo di un’azienda di abbigliamento sportivo, proposta già bocciata dal tribunale.

Proprio i giudici di primo grado, infatti, avevano preso atto della circostanza che, a voto dell’adunanza ormai chiuso, le integrazioni, pur migliorative, sulle garanzie personali e sui tempi dell’esecuzione del piano - adottate peraltro sulla base delle osservazioni del commissario giudiziale - avevano di fatto tracciato un nuovo piano, diverso da quello accettato dai creditori. Di parere diverso, invece, era stato l’Appello che, motivando la regolarità del piano “integrato”, sottolineava che al limite si sarebbe dovuto al più tornare al piano originario, e non invece procedere alla dichiarazione di fallimento, come invece stabilito dal tribunale fiorentino.

Nella sentenza impugnata davanti alla Cassazione, inoltre, la Corte sosteneva che l’assenza di modifiche sostanziali del concordato escludeva anche la necessità di rinnovare la relazione di attestazione, già ritenuta valida in relazione alla proposta originaria. In sostanza, l’approccio dell’appello sulla questione di diritto era stato di valorizzare il potere dispositivo delle parti all’interno della procedura.

Invece, secondo i giudici della Prima civile, le variazioni adottate - pur nei limiti di metodo (tempistiche) e di merito (migliorative) - «non potevano considerarsi indifferenti per i creditori» in quanto «risultavano suscettibili di incidere non solo sui tempi della liquidazione ma anche sulla fruttuosità della stessa, e quindi sulla fattibilità economica del concordato». La giurisprudenza consolidata sul punto (Sezioni unite 1521/13; Prima sezione 11497/14) non consente di escludere che «ai fini di un’informata e consapevole espressione di voto, i creditori dovessero essere adeguatamente ragguagliati in ordine alle prospettive temporali ed economiche di realizzazione del piano, per la cui valutazione non poteva ritenersi sufficiente la nuova relazione predisposta dal commissario giudiziale, occorrendo innanzitutto un aggiornamento di quella redatta ai sensi dell’articolo 161 terzo comma del codice di procedura, dal professionista designato dalla debitrice».

Secondo la Prima civile in questo caso non c’è spazio neppure per applicare il capoverso dell’articolo 179 della legge fallimentare («Quando il commissario giudiziale rileva, dopo l’approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori») perchè presupposto sarebbe il verificarsi di eventi estranei alla volontà del debitore e sopravvenuti all’approvazione del concordato, idonei a impedirne il corretto adempimento».

Alessandro Galimberti – 30 aprile 2015 – tratto da sole24ore.com

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