La Corte costituzionale ha cancellato la mancata rivalutazione in base all’inflazione delle pensioni di poco superiori a 1.400 euro: la penalizzazione fissata dal Dl 201/2011 è stata applicata nel 2012-2013.

L’effetto sui conti pubblici è pesantissimo. Il conto preventivato dall’avvocatura dello Stato, nella memoria in difesa del decreto 201 davanti alla Corte, è stato di 5 miliardi ma si tratta di una cifra al ribasso. In base ai dati Inps sulle pensioni la mancata rivalutazione delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo Inps ha fatto “risparmiare” almeno 6 miliardi nei due anni. A questo andrebbe aggiunto l’effetto-trascinamento per i periodi successivi. Il conto di quanto va restituito - considerando un quinquennio - potrebbe essere vicino ai 10 miliardi. Destinatari circa 5,2 milioni di pensionati.

All’interno della Corte la sentenza 70/2015 è stata dibattuta fino all’ultimo con i giudici che si sono divisi, e la pronuncia di illegittimità è stata decisa con un solo voto di maggioranza. Tra i contrari anche Giuliano Amato, autore della riforma della previdenza del ’92.

La sentenza è stata depositata ieri alla cancelleria della Corte costituzionale, anche se la decisione risale al 10 marzo. L’opposizione plaude, talvolta anche sopra le righe («togliamo la cittadinanza alla Fornero», Matteo Salvini, Lega Nord; «Oggi non sorridono solo i pensionati d’oro», Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia; «La Consulta ha ridato dignità ai pensionati», Renata Polverini, Fi).

La rivalutazione delle pensioni, in base al Dl 201, veniva negata alle pensioni di poco superiori a 1.400 euro lordi; la misura era stata giustificata in Parlamento «quale provvedimento di emergenza finanziaria». I giudici costituzionali rilevano il mancato rispetto degli articoli 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione. La Corte non contesta la discrezionalità del legislatore nel modulare la perequazione, a patto però di fondarsi sulla «ragionevolezza», per perseguire un progetto di uguaglianza sostanziale e in modo da evitare disparità di trattamento verso i pensionati.

La Corte, del resto, era già intervenuta in tema di perequazione, con la sentenza 316/2010, ma in quell’occasione il blocco per i trattamenti superiori a otto volte il minimo Inps per il 2008 (legge 247/2007) aveva superato il vaglio di costituzionalità.

«Il legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali deve dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona».

Su quest’ultimo aspetto insistono i giudici che richiamano il legislatore a scongiurare «un non sopportabile scostamento» tra l’andamento delle pensioni e quello delle retribuzioni. Nel 2008 le pensioni senza rivalutazione, per un solo anno, erano - sottolinea la Corte - di importo piuttosto elevato e presentavano «margini di resistenza all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo».

Non altrettanto può dirsi per la manovra 2012-2013. Il blocco a tutti i trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo Inps mina il diritto a una prestazione previdenziale adeguata nei confronti di quei titolari di pensione modesta e che hanno maggiore difficoltà ad adeguare i propri redditi alle loro necessità.

Le pensioni superiori a 1.443 euro (valore 2012, 1.486,29 valore 2013) non hanno subito, nel 2012-2013, alcuna rivalutazione.

Dal 1° gennaio 2014, la rivalutazione è stata riattribuita – seppur con gradualità in funzione dell’importo – senza prevedere alcun recupero per gli anni di blocco. Ciò ha portato inevitabilmente a una perdita irrecuperabile e quindi a una riduzione del potere di acquisto (in media mille euro nel biennio).

Per questo, il diritto a una prestazione previdenziale adeguata risulta irragionevolmente sacrificato essendo intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale. La pensione è, infatti, intesa quale retribuzione differita in un quadro di solidarietà.

Che cosa succederà adesso? Il Governo si dovrà adeguare, cercando le risorse necessarie. Le pensioni, nel biennio 2012-2013, dovrebbero essere rivalutate in base alla disciplina precedente: al 100% per gli importi fino a tre volte il minimo, al 90% per la parte eccedente e fino a cinque volte il minimo, al 75% per la quota superiore. I dettagli su calcoli e restituzione saranno messi a punto dall’Inps, d’intesa con il Governo. Beninteso, una volta scovato un bel gruzzolo di miliardi.

Maria Carla De Cesari/Fabio Venanzi/Dino Pesole - 01 Maggio 2015 – tratto da sole24ore.com

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