È infondato l'atto di accertamento basato sulla "esterovestizione", qualora l'Ufficio non dimostri che la società sia stata trasferita in un Paese dove non svolga alcuna attività economica e, a ogni modo, che ivi goda di un trattamento fiscale più favorevole. È, nel succo, quanto stabilito dai giudici della Ctp di Roma con la sentenza n. 1694/41/14 del 3 febbraio scorso.

Il caso
La vicenda sottoposta all'esame dei giudici romani, scaturisce dalla impugnazione di un atto di accertamento fondato sulla cd esterovestizione, ovvero la fittizia localizzazione della residenza fiscale all'estero (nel caso in questione Olanda) con la finalità di avvalersi di un regime fiscale più favorevole rispetto a quello nazionale. A seguito delle operazioni di verifica, infatti, la società risultava – a detta dell'Ufficio - solo formalmente residente in Olanda quando, in realtà, la effettiva sede era in Italia.

La decisione
I giudici hanno accolto il ricorso. In particolare il collegio ha ricordato che, per la Corte di Cassazione: "quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno se, cioè, l'operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica". In tal senso, si abuserebbe del diritto comunitario per fruire di vantaggi fiscali "quando l'indirizzo dell'impresa non corrisponde ad alcuna realtà economica del soggetto, cioè né alla sede dell'attività economica del soggetto, né ad un centro di attività stabile dal quale quest'ultimo svolge le sue operazioni".

Facendo leva su tali principi, i giudici romani hanno affermato che nel caso in esame l'Ufficio non avesse invece dimostrato l'assenza di una realtà economica in Olanda, dove peraltro la società accertata risultava avere la sede, l'amministrazione, tenere le scritture e pagare le imposte. Né l'Ufficio aveva contestato nell'atto che la società godesse effettivamente di un trattamento fiscale più favorevole. Per tali motivi, i giudici hanno ritenuto infondato l'atto del Fisco.

Davide Settembre - 18 marzo 2014 – tratto da sole24ore.com

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