Difficile immaginarsi l’addetto alla sicurezza di una banca che utilizzi il monitor di videosorveglianza per guardarsi in santa pace una bella televendita pomeridiana. Eppure il sospetto deve essere venuto al solerte rappresentante della Guardia di Finanza che, attento alle esigenze erariali oltre che, indirettamente, a quelle dell’istituto di credito, ha eseguito, nel torrido luglio di due anni fa, un «accesso» a una banca di Trabia (ridente centro del palermitano). E infatti ha potuto verificare che faceva bella mostra di sé un monitor che trasmetteva quanto le telecamere rilevavano nei locali. Il primo sospetto, quindi, è stato che quel monitor servisse a divertirsi con telenovelas e gare di cucina. E il solerte funzionario ha subito chiesto la ricevuta di pagamento del canone Rai.

Evidentemente gli stupefatti impiegati hanno cercato invano di dimostrare che il sistema a circuito chiuso impediva, ahimè, di rifugiarsi dietro pile di pratiche come Fantozzi per vedere la partita di nascosto e che quel monitor, inesorabilmente, serviva a sorvegliare. Trattandosi di una banca, poi, l’ipotesi non appariva del tutto irreale.

Ma non  c’è stato nulla da fare: con tetragona inflessibilità il finanziere ha fatto presente alle Entrate (al famigerato Sportello Sat di Torino) la grave situazione di illiceità. Nemmeno allo Sportello Sat devono aver colto la differenza tra un monitor e una Tv ed è partito un accertamento per 407,35 euro che la banca ha impugnato alla Commissione tributaria provinciale di Torino. La quale, con sferzante ironia, ha spiegato ai più che un monitor non è «atto» a ricevere le emissioni televisive, come già chiarito al ministero dello Sviluppo economico nel 2012. E ha anche condannato, con sentenza depositata il 14 gennaio scorso, l’agenzia delle Entrate (Direzione provinciale I di Torino) a pagare 300 euro di spese di giudizio.

Saverio Fossati - 19 Febbraio 2016 – tratto da sole24ore.com

Altre notizie