La telematica vola. Le semplificazioni arrancano. Sono le due facce di questo fisco estivo, che da un lato ha fatto passi da gigante sul fronte dell’innovazione e dell’informatica. Ma dall’altro continua a misurarsi con un contesto che di semplice ha davvero poco.

Ormai da molti anni, praticamente tutti i dati fiscali vengono acquisiti in formato digitale: milioni e milioni di bit, tra modelli e comunicazioni varie, che arrivano al fisco tramite il sistema Entratel, il canale dell’agenzia delle Entrate utilizzato dagli intermediari. Anzi, dovremmo dire, il canale “sempre più utilizzato” dagli intermediari, visti i numeri da record delle ultime statistiche sulla trasmissione di documenti.

A voler guardare la parte piena del bicchiere, non c’è dubbio che ciò rappresenti un’eccellenza italiana che, si spera, potrà un giorno dare anche buoni frutti - che oggi non si vedono o si vedono poco - sul terreno del contrasto all’evasione.

Riconoscere questa verità non può però nascondere la parte mezza vuota del bicchiere. E cioè il fatto che questi risultati - lo ha ricordato proprio ieri il presidente dei Commercialisti Massimo Miani in una lettera inviata sia al viceministro dell’Economia Luigi Casero sia al direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini - non sono stati raggiunti a costo zero.

Ma utilizzando - o forse si dovrebbe dire - “sapientemente sfruttando” principalmente il lavoro dei professionisti, che giustamente soffrono molto questo ruolo da “fornitori di dati” all’amministrazione finanziaria.

La cosa che tuttavia fa riflettere è che, in fondo, da un paese che primeggia in un ambito di modernità come quello dei servizi telematici del fisco, ci si aspetterebbe altrettanta efficienza nel complesso del sistema. E invece qui sta il nostro solito paradosso. Il paradosso di un sistema che sa essere fortemente innovativo (qualche maligno può dire: per merito di professionisti e imprese) ma che al tempo stesso viene da tutti considerato uno dei sistemi fiscali più complessi al mondo e perennemente in ritardo nel cammino verso le semplificazioni.

Abbiamo un fisco estremamente costoso, con livelli di tax rate che competono per il podio in ogni categoria di tributo, e per di più abbiamo un sistema che ai costi espliciti delle aliquote somma anche quelli occulti degli adempimenti e delle continue complicazioni.

In fondo, questa è la conferma che continua a esistere una questione fiscale, che purtroppo è anni luce distante dai dibattiti e della promesse pre elettorali – utilissimi, i dibattiti, sia ben chiaro, soprattutto se possono davvero offrire spunti reali per voltare pagina – sull’assetto strategico del sistema tributario, sulla sua attitudine a rilanciare e sostenere la crescita, insomma sul fisco come strumento decisivo per una politica economica non giocata solo in difesa. Invece ci ritroviamo ancora una volta a parlare di calendario delle scadenze, di adempimenti, di modelli e dati inutili da inviare: esiste cioè una questione fiscale con la quale ogni giorno decine e decine di migliaia di operatori devono fare i conti, stretti tra una normativa che continua a cambiare e che non concede tregue di nessun tipo e un’amministrazione che forse ha “cambiato verso” solo a parole. Con semplificazioni che vanno e vengono e che alla prova dei fatti si dimostrano sempre inefficaci o quanto meno insufficienti.

Non ci stancheremo di ripeterlo: tutti contenti se si eliminano lo spesometro annuale e la comunicazione annuale dei beni concessi in uso ai soci. Ma se poi contestualmente (o quasi) si introducono: le comunicazioni dei dati delle liquidazioni Iva (trimestrali); le comunicazioni dei dati di fatture emesse e ricevute, ossia una nuova versione dello spesometro (semestrale per il 2017 e trimestrale dal 2018); se si riporta in vita il modello Intra-acquisti (che era stato abolito dal decreto fiscale collegato alla manovra) e, per non farsi mancare nulla, se arrivano nuovi vincoli sulle compensazioni, con obbligo del visto di conformità per i crediti fiscali oltre i 5mila euro...allora è chiaro che dobbiamo chiarirci su quale sia per il legislatore e per l’amministrazione il significato del termine “semplificazioni”.

Peraltro, è evidente che questa attitudine all’instabilità e al caos normativo sia determinata dall’incapacità del legislatore di svolgere bene il proprio lavoro. Le norme non solo cambiano in continuazione, ma sono oggettivamente fatte male, difficili da applicare e da interpretare. Spesso si attribuiscono all’amministrazione finanziaria molte responsabilità per l’elevato livello di “confusione fiscale”. Il che può avere un suo fondamento. Sappiamo, lo abbiamo detto molte volte, che l’agenzia delle Entrate non è mai stata completamente estranea al processo di formazione delle norme fiscali. In molti casi le disposizioni tributarie sono nate proprio su richiesta dell’agenzia delle Entrate per salvaguardare alcune sue convinzioni e posizioni durante l’attività di accertamento. Tutto vero: e si spera che in futuro l’amministrazione sappia trovare modalità diverse per sostenere e giustificare i propri controlli.

Ma è innegabile, più in generale, che la qualità delle norme approvate dal Parlamento sia di bassissimo livello. E gli esempi non mancano: da ultimo – nella manovrina, il decreto legge n. 50 del 2017 – solo per citare due casi, forse neppure tra i più eclatanti, basta guardare ai pasticci che sono stati fatti con l’estensione dello split payment, da gestire di fatto senza sapere a quali soggetti si applicava quel regime, oppure basta pensare ai ripetuti interventi sull’Ace, dove il calcolo degli acconti è diventato letteralmente un terno al Lotto. E non è un caso che proprio ieri il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti abbia predisposto un documento di 11 pagine che fotografa alla perfezione il disagio operativo della categoria. Una rassegna, per altro parziale, delle criticità e delle complicazioni di un sistema che, nonostante le promesse, sembra essere sfuggito a ogni controllo.

Ennesimo segno di un disagio al quale bisogna porre attenzione, fornendo risposte adeguate e cercando – una volta tanto – di non promettere semplificazioni che poi puntualmente non si rivelano tali.

Salvatore Padula - 02 agosto 2017 – tratto da sole24ore.com

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