Stop a nuove regolamentazioni professionali non commisurate ad un interesse pubblico maggiore. Niente restrizioni per lo svolgimento delle attività, che non dovranno avere barriere all'ingresso sproporzionate, in linea con quanto previsto a livello europeo. È quanto prevede il test di proporzionalità, la procedura di matrice comunitaria prevista dalla direttiva 958/2018, introdotta nell'ordinamento italiano con il dlgs 142/2020, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 271 del 30 ottobre scorso.

Il dlgs, come detto, recepisce una direttiva Ue finalizzata a ridurre le barriere di ingresso al mondo professionale, subordinando l'approvazione di una qualsiasi nuova regolamentazione al rispetto di un principio di proporzionalità rispetto una serie di aspetti generali. Nel testo è infatti presente una tabella che dovrà accompagnare le nuove norme con una griglia di risposte da fornire per effettuare la valutazione di proporzionalità; viene chiesto, ad esempio, quali siano gli obiettivi perseguiti dalla nuova disposizione, i rischi che il provvedimento intende prevenire, la giustificazione dell'insufficienza di norme già in vigore e l'idoneità a conseguire lo scopo perseguito.

Dovrà inoltre essere effettuata una analisi dell'impatto sulla libera circolazione delle persone e una descrizione dell'effetto combinato delle nuove disposizioni con quelle esistenti. Dovranno poi essere effettuate una serie di analisi strettamente professionale, in merito alla possibilità di prevedere attività riservate o di ottenere la qualifica professionale attraverso altre metodologie alternative a quelle eventualmente introdotte. Prima dell'emanazione della nuova norma, quindi, il legislatore dovrà trasmettere lo schema di provvedimento e la griglia allegata all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che esprimerà il suo parere. Nel caso in cui gli atti siano adottati dagli ordini professionali, il parere sarà fornito dai ministeri vigilanti.

Per garantire la proporzionalità, le norme introdotte devono rispettare una serie di caratteristiche: per prima cosa «l'accesso alle professioni regolamentate o il loro esercizio non può essere limitato da motivi di natura esclusivamente economica o amministrativa», come si legge nel dlgs, proprio a sottolineare come le motivazioni alla base di una nuova regolamentazione devono essere necessarie, subordinate a un interesse generale più ampio. Il decreto indica anche i confini nei quali si può inserire una nuova forma di regolamentazione: «le disposizioni sono obiettivamente giustificate, tra gli altri, da motivi di ordine pubblico, di sicurezza pubblica o di sanità pubblica, o da motivi imperativi di interesse pubblico, come il mantenimento dell'equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale; la tutela dei consumatori, dei destinatari di servizi e dei lavoratori; la salvaguardia della buona amministrazione della giustizia; la garanzia dell'equità delle transazioni commerciali; la lotta contro la frode e la prevenzione dell'evasione e dell'elusione fiscali, nonché la salvaguardia dell'efficacia dei controlli fiscali; la sicurezza dei trasporti; la tutela dell'ambiente, inclusi l'ambiente urbano e il paesaggio; la salute degli animali; la proprietà intellettuale; la salvaguardia e la conservazione del patrimonio storico e artistico nazionale; gli obiettivi di politica sociale e gli obiettivi di politica culturale».

Il tutto deve essere idoneo a garantire il conseguimento dello scopo e non deve introdurre «ulteriori limitazioni rispetto a quanto strettamente necessario per il raggiungimento di tale scopo».

Michele Damiani - 03 novembre 2020 – tratto da Italia Oggi

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