L’aggravante del mezzo e la gravità della condotta escludono la possibilità di accedere alla norma sulla particolare tenuità del fatto e alla sospensione condizionale della pena

Chi sceglie Facebook come vetrina per “esporre” i suoi insulti deve sapere che i margini per accedere ai benefici di legge che consentono l’impunità per la diffamazione o di sospendere la pena sono davvero scarsi. La Corte di cassazione, con la sentenza 34026, nega alla ricorrente, che aveva insultato una coppia di vicini di casa, sia l’applicazione della norma sulla particolare tenuità del fatto che apre la via alla non punibilità, sia la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena, che consente, in assenza di condotte della stessa indole, anche di estinguere il reato.

Gli insulti sulla bacheca

A giustificare la severità della Suprema corte una serie di insulti rivolti ai conoscenti da una bacheca, del noto social network, riconducibile all’imputata. Senza successo quest’ultima invoca una serie di precedenti della Cassazione, nei quali per avere certezze sulla riconducibilità dei post incriminati ai profili degli accusati, erano stati disposti accertamenti sull’Ip. Nel caso esaminato non serve. Ad inchiodare la ricorrente alle sue responsabilità è proprio il tenore dei commenti postati sul suo profilo. Frasi offensive che dimostravano una diretta conoscenza delle persone alle quali erano rivolte: dall’attività lavorativa della signora presa di mira, alla sue origini meridionali, fino alla descrizione di un intervento dei carabinieri fatto nell’appartamento della coppia infamata.

L’esclusione dei benefici

Per la Cassazione ininfluente che non venissero fatti i loro nomi visto che le indicazioni per identificarli c’erano tutte. I giudici ricordano che nella diffamazione aggravata pesano le modalità della condotta. E non è sufficiente che il fatto sia occasionale per considerarlo di particolare tenuità. Lo stesso vale per la sospensione condizionale della pena, la cui applicabilità rientra nella discrezionalità del giudice che, nel caso esaminato, ha considerato anche le offese reiterate rivolte ai due coniugi dell’imputata, anche se non erano state contestate in sede penale.

Patrizia Maciocchi - 16 settembre 2021 – tratto da sole24ore.com

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