Vino di bassa qualità, adulterato dall’alcol, ma messo in commercio come Chianti doc, Brunello di Montalcino e Sassicaia.
La Cassazione conferma la condanna per uno dei sodali, per accuse che vanno dall’associazione a delinquere per frode in commercio, alla contraffazione di marchio e origine del vino. A imbottigliare il vino adulterato era un azienda toscana della zona di Empoli, dove venivano applicate le false etichette.

Le indagini iniziate nel 2014

L’”operazione Bacco” è approdata alla Suprema corte a 10 anni dalle complesse indagini svolte nel 2014 dai Carabinieri del Nas di Firenze, dopo che ristoratori, titolari di enoteche o esportatori di vino, avevano segnalato di avere acquistato bottiglie di vino pregiato che, in realtà, contenevano un prodotto diverso. Davanti ai giudici si è arrivati grazie alle intercettazioni telefoniche e ai servizi di osservazione che hanno portato a perquisizioni e sequestri, fino alla formulazione di una serie di contestazioni, cristallizzate poi in capi di imputazione e, infine, di condanne.

L’organizzazione

Dal quadro accusatorio era emersa l’esistenza di una struttura associativa organizzata, la cui attività consisteva nel comprare un vino scadente al quale aggiungere alcol per far salire la gradazione, imbottigliarlo e metterlo in vendita, in modo che apparisse pregiato. Operazione che avveniva falsificando le fascette, le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine, i brand e il contrassegno ministeriale previsto per i vini Doc.

I prodotti non consentiti

La Suprema corte ricorda che la legge sanziona la condotta di chi «nella fase della vinificazione o della successiva manipolazione del prodotto, impiega in tutto o in parte prodotti non consentiti, quali alcol, zuccheri o materie zuccherine o fermentate diverse da quelle provenienti dall’uva fresca anche leggermente appassita». Quanto alla «messa in vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine», reato previsto dall’articolo 516 del Codice penale, questo scatta a prescindere dall’effettivo trasferimento del prodotto al consumatore, basta che sia messo in commercio pronto per essere venduto.

Confermata anche l’associazione a delinquere, dedotta da una serie di elementi. Ad iniziare da una stabile struttura organizzativa e un vincolo fra più soggetti che permettesse di reperire il vino, correggerlo artificialmente, imbottigliarlo, trasportarlo e stampare false etichette e fascette di vini spacciati come Doc e Docg. Il tutto corredato da basi logistiche, dalla cantina agli uffici. Come in una spy story non mancavano schede telefoniche “coperte” e messaggi criptati.

Patrizia Maciocchi - 04 aprile 2024 – tratto da sole24ore.com

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