Diseguaglianza retributiva e ricorso (ancora) «rilevante» alla cassa integrazione fra le «eredità» del Covid-19, nel nostro Paese: la distribuzione dei redditi tra i dipendenti, infatti, si è «ulteriormente polarizzata» nel 2021, visto che «una quota crescente di lavoratori» percepisce un salario «inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza», mentre a godere di ammortizzatori sociali sono stati 3 milioni (per un importo di circa 10 miliardi), e «le giornate di malattia hanno segnato il culmine a gennaio 2022», giungendo a quasi 30 milioni, riferiti a più di 3 milioni di addetti assenti per infezione, o quarantena. E, prima ancora che scoppiasse la pandemia (l'ultima rilevazione è del 2019), l'attività «sommersa» nella Penisola era pari al 12,5% di quella totale: lo scorso anno il tasso di occupazione ha raggiunto il 60% (inferiore di 10 punti percentuali dall'obiettivo europeo), pari a oltre 25,6 milioni di persone, e colpisce come la fruizione dei congedi parentali sia ancora «fortemente diseguale» nella coppia, giacché li richiede «solamente il 19% dei padri».

È quanto si legge nel XXI Rapporto annuale dell'Inps, illustrato ieri mattina, a Roma, occasione per il presidente Pasquale Tridico per porre l'accento sugli «strappi vistosi» che la crisi sanitaria ed economica ha impresso nella distribuzione delle paghe: il 23% dei lavoratori «guadagna meno di 780 euro al mese», considerando anche chi è in «part-time», ma l'1% di coloro che figurano tra i profili meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale di quanto percepito «sulla massa retributiva complessiva». Lo stipendio medio delle donne nel 2021 ammontava a 20.415 euro, sostanzialmente immutato, al confronto con gli anni precedenti, e «inferiore del 25% rispetto alla corrispondente media maschile». L'«allargamento» dell'area dei «working poor», messo in risalto nel suo intervento dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, desta allarme (anche) nell'ottica dell'erogazione delle future prestazioni previdenziali; al 31 dicembre 2021, i pensionati in Italia erano circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni di uomini e 8,3 milioni di donne, per circa 22 milioni di assegni distribuiti, dall'importo lordo globale di quasi 312 miliardi, in ascesa dell'1,55%, rispetto al 2020 (a ricevere meno di 1.000 euro al mese è stato il 32% dei beneficiari, pari a circa 5 milioni 120.000 soggetti), e seppur la componente femminile rappresenti «il 52% sul totale» di chi è in quiescenza, è quella che incassa soltanto «il 44% dei redditi pensionistici. L'importo medio mensile dei redditi percepiti dagli uomini è 1.884 euro lordi, del 37% superiore a quello delle donne, pari a 1.374 euro», recita il dossier dell'Inps.

Per l'Istituto, inoltre, i riverberi della salita del costo della vita potrebbero farsi sentire sulle uscite per prestazioni: l'aumento dell'inflazione nell'anno in corso, con una crescita dei prezzi che a fine 2022, potrebbe assestarsi sull'8%, gravando sulla spesa per pensioni nel 2023 per 24 miliardi; sulla base dei dati al primo gennaio 2020 (senza calcolare, dunque, gli effetti della pandemia e del conflitto russo-ucraino, ndr) il disavanzo patrimoniale dell'Istituto potrebbe arrivare a 92 miliardi nel 2029.

Quanto, infine, al reddito di cittadinanza, Tridico ha riferito che, nei primi 36 mesi di applicazione (aprile 2019-aprile 2022), la misura ha raggiunto 2,2 milioni di nuclei familiari per 4,8 milioni di persone, con una erogazione totale di quasi 23 miliardi (nel marzo scorso la media è stata di 548 euro a famiglia).

Simona D'Alessio - 12 luglio 2022 – tratto da Italia Oggi

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