La causa di lavoro può arrivare anche dopo quarant'anni. Idem l'accertamento dell'ispettorato del lavoro. Un esempio. Un'azienda assume un lavoratore e sulla prima mensilità dimentica di riconoscere un certo elemento di retribuzione. Per recuperarlo, il lavoratore avrà tempo fino a cinque anni dopo la cessazione del lavoro sia facendo causa e sia rivolgendosi all'ispettorato (ciò anche dopo 40 anni, quanto può durare il rapporto di lavoro per maturare la pensione). A precisarlo è l'ispettorato nazionale del lavoro nella nota 1959/2022 recependo l'orientamento della corte di cassazione sul termine di prescrizione dei crediti di lavoro ai fini dell'adozione della diffida accertativa.

La prescrizione. La questione riguarda i crediti di lavoro. Ai sensi dell'art. 2948 del codice civile, le somme non erogate dal datore di lavoro al lavoratore, con periodicità annuale o infrannuale, e le indennità per cessazione del rapporto di lavoro si prescrivono in cinque anni. Il termine, ai sensi dell'art. 2935 del codice civile, decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Tuttavia, la giurisprudenza si è espressa nel ritenere che la decorrenza del termine non operi in costanza di rapporto di lavoro, potendo il lavoratore trovarsi in una condizione di “timore” nei confronti del datore di lavoro, tale da indurlo a rinunciare alla pretesa almeno fino alla cessazione del rapporto. Pertanto, la corte di cassazione ha ritenuto necessaria in questi casi una valutazione caso per caso, per verificare se c'è timore di licenziamento (c.d. «sudditanza psicologica»).

Il nuovo orientamento. Nella sentenza 26246/2022, la cassazione cambia idea e dà un nuovo orientamento, ritenendo superato il precedente (valutazione “caso per caso”) «da considerarsi ormai inadeguato, sia perché fonte d'incertezza del sistema (…), sia in quanto incapace di assorbire, nello spirito di un'interpretazione evolutiva del diritto, il cambiamento operato dalle riforme sul sistema della legge 300/1970». Le novità della legge 92/2012 (c.d. riforma Fornero) e dlgs 23/2015 (c.d. riforma Jobs Act), secondo la corte, hanno comportato, nelle ipotesi di licenziamento illegittimo, il passaggio da un'applicazione automatica a una selettiva della tutela reintegratoria e risarcitoria. La tutela reintegratoria, in particolare, ora ha un carattere recessivo e residuale tale da ingenerare inevitabilmente “timore” nel dipendente riguardo al datore di lavoro per la sorte del suo posto di lavoro, laddove intendesse far valere un proprio credito nel corso del rapporto di lavoro. In conclusione, la corte ha stabilito il nuovo principio: «per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge 92/2012, il termine di prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro».

Escluso il pubblico impiego. Fa eccezione al nuovo principio il rapporto di pubblico impiego, al quale resta quinquennale il termine di prescrizione per i crediti di lavoro decorrente in costanza di rapporto dal momento in cui il diritto può esser fatto valere.

Più tempo per gli accertamenti. Alla luce del nuovo principio, l'Inl supera le istruzioni della precedente nota 595/2020. Pertanto, gli ispettori dovranno considerare oggetto di «diffida accertativa» i crediti (certi, liquidi ed esigibili) di cui il lavoratore dipendente è titolare tenuto conto che il dies a quo del termine di prescrizione quinquennale inizierà a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Daniele Cirioli - 04 ottobre 2022 – tratto da Italia Oggi

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