Stalking e lesioni per i compagni di scuola che perseguitano un ragazzo autistico, spegnendogli le sigarette sul dorso della mano, insultandolo e vessandolo in ogni modo. La Cassazione conferma la condanna a carico di uno dei due aguzzini, il maggiorenne, mentre l’altro minorenne era stato giudicato separatamente. A raccontare le angherie subìte in quello che per lui doveva essere un luogo di apprendimento e di protezione era stato proprio Marco, il nome è di fantasia, affetto da autismo e con un ritardo nello sviluppo psichico e nel linguaggio. Una condizione di particolare vulnerabilità che invece di indurre i due compagni a prendersi cura di lui, aveva scatenato la loro aggressività. Violenze continue che facevano vivere il ragazzo in uno stato di ansia e di paura per la sua incolumità, timori di cui aveva parlato ai genitori, allo psicologo e agli insegnanti. E questi avevano testimoniato “de relato” quanto appreso dal giovane.

La paura di andare a scuola

La linea di difesa dell’imputato era basata soprattutto nella scarsa affidabilità di testi che riferivano quanto detto da un ragazzo che, per il suo handicap, non poteva essere considerato credibile. Ma è un argomento boomerang, perché la Suprema corte, valorizza soprattutto la dichiarazione di un’educatrice che conosceva bene la vittima dei bulli e la sua patologia, proprio in virtù della quale non era capace di mentire. A supporto delle parole del ragazzo c’erano poi anche le testimonianze dirette di due compagne di classe che avevano avuto modo di assistere al trattamento che veniva riservato allo studente. C’era il racconto della preside sulla spontaneità con la quale Marco aveva chiesto il suo aiuto incontrandola per caso nei corridoi. E c’erano infine i segni delle ustioni, cicatrizzate e nuove «sulla carne viva» viste dalle insegnanti. Marco aveva cambiato le sue abitudini di vita e, per paura di incontrare i suoi persecutori, preferiva restare a casa invece che andare in classe. Ad avviso dei giudici gli estremi per la condanna per stalking ci sono tutti. Con l’aggravante di aver agito a danno di una persona in condizione di minorata difesa.

Patrizia Maciocchi - 24 marzo 2023 – tratto da sole24ore.com

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