Legittimo escludere dal reddito di cittadinanza chi si è rovinato con il gioco. Non viola il principio di eguaglianza sostanziale (art. 3 della costituzione), perché compito dello stato non è combattere la povertà da ludopatia, ma la ludopatia stessa che è ostacolo al pieno sviluppo alla persona.

A stabilirlo è la Corte costituzionale nella sentenza n. 54 del 22 febbraio 2024, depositata ieri, dichiarando infondate le questioni di legittimità sollevate dal tribunale di Foggia delle norme penali per chi ometta di dichiarare le vincite al fine di ottenere il reddito di cittadinanza (Rdc).

I percettori di Adi sono avvertiti: analogo regime penale, infatti, vige pure sull’assegno d’inclusione (Adi), che ha sostituito, dal 1° gennaio 2024, il Rdc.

Vincite al gioco da dichiarare

Un cittadino vince al gioco 44mila e 69mila negli anni 2017 e 2018. A marzo 2019 fa domanda di Rdc, presentando la Dsu (dichiarazione sostitutiva unica, domanda d’Isee) senza, tuttavia, dichiarare le vincite. Nel 2019 vince ancora 160mila euro che nemmeno comunica ai fini del Rdc, nonostante la disciplina del Rdc preveda che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chi, al fine di conseguire il Rdc indebitamente, renda o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere od omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni. Idem in caso di omessa comunicazione di variazioni di reddito o patrimonio: da uno a tre anni. Il tribunale di Foggia, nel decidere il rinvio a giudizio del cittadino, ha sollevato questioni di legittimità delle norme penali con riferimento ai principi di «tassatività» (art. 25 Costituzione) e di «uguaglianza sostanziale» (art. 3 Costituzione).

Per la dichiarazione ci si può rivolgere ai Caf

Per il tribunale entrambe le norme penali violerebbero il principio di tassatività perché, nel fissare la punizione per omessa dichiarazione di «informazioni dovute», non precisano cosa sia ricompreso in questa locuzione. La Corte è di parere contrario. Nonostante il complesso di rinvii nelle norme, si riesce comunque a capire l’obbligo di dichiarare le vincite. Peraltro, a fronte della complessità del dettato normativo, è stata prevista la possibilità di rivolgersi ai Centri di assistenza fiscale (Caf).

Legittimo negare il Rdc a chi si rovina con il gioco

Per il tribunale, inoltre, le norme penali violerebbero il principio di uguaglianza sostanziale, perché le vincite costituiscono reddito per intero, senza alcuna deduzione di spesa. Pertanto, escludendo la deduzione dell’importo giocato, si determina «la paradossale circostanza» che il reddito dichiarato (vincite), di fatto, non è esistente per il cittadino.

«In questi termini», chiosa la sentenza, «la suggestiva prospettazione» del tribunale mette in luce la situazione della persona che, pur titolare di un’importante vincita, è in realtà rimasta povera, perché la vincita non ha incrementato la sua ricchezza, una volta considerate le giocate effettuate.

Anche qui la Corte è di parere diverso. Il Rdc, spiega, è strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in forza di vincite, superino il requisito di reddituale per l’accesso, anche se, per le perdite subite, sono comunque rimaste povere. Pertanto, conclude la Corte, è da ritenere legittima la pena prevista a carico di chi, per accaparrarsi il sussidio, non dichiari le vincite.

La Corte esclude violazione del principio di eguaglianza anche perché non è irragionevole che il legislatore abbia escluso che sia compito della repubblica assegnare il Rdc a chi, poco prima, si è rovinato con il gioco. L’eventuale situazione di povertà in cui la persona si sia venuta a trovare, nonostante le vincite è, insomma, comunque quella di chi, avendo una disponibilità economica, l’ha dissipata giocando.

Daniele Cirioli - 30 marzo 204 – tratto da Italia Oggi

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