È fissata per martedì 17 ottobre la ripresa della discussione alla Camera sul disegno di legge presentato da Pd e M5S sul salario minimo (AC 1275), sospesa il 3 agosto. Entro la seconda settimana di ottobre, poi, è attesa la consegna da parte del Cnel dei risultati dell’istruttoria tecnica sul salario minimo, avviata su richiesta della Presidenza del Consiglio. L’Italia non ha una legislazione ad hoc sulla determinazione minima della retribuzione. Le ragioni di tale scelta hanno radici storiche profonde e si fondano essenzialmente sul ruolo attivo che da sempre le parti sociali hanno avuto nelle dinamiche economiche del Paese, molto spesso dirette a compensare vuoti legislativi su temi cruciali del lavoro. Il ruolo della contrattazione collettiva è stato essenziale, per garantire la realizzazione dell’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto del lavoratore a ottenere una retribuzione proporzionata alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Ma qual è la situazione negli altri Paesi? Nella Ue al 1° luglio 2023 sono 22 su 27 gli Stati membri che hanno un salario minimo mensile, che oscilla dai 399 euro della Bulgaria ai 2.508 euro del Lussemburgo (fonte Eurostat). I cinque Paesi che non hanno un sistema legislativo sulle retribuzioni minime sono Danimarca, Austria, Finlandia, Svezia e Italia.

Nella Ue si possono distinguere tre gruppi secondo il valore del salario minimo:

sopra i 1.500 euro mensili (Lussemburgo, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Irlanda e Francia);

tra i 1.500 e i 1.000 euro mensili (Spagna e Slovenia);

sotto i 1.000 euro mensili (tutti gli altri).

Già la Convenzione 26/1928 emanata dall’Organizzazione internazionale del Lavoro, ribadita dalla successiva Convenzione 131/1970, esortava gli Stati ad adottare un sistema di salario minimo in caso di assenza di meccanismi per un’efficace regolamentazione dei salari tramite contratti collettivi o quando i salari sono eccessivamente bassi.

Molti Paesi, anche fuori dall’Europa, hanno deciso di creare meccanismi di determinazione della soglia minima retributiva. Tali sistemi prevedono un aggiornamento periodico del salario basato sul potere d’acquisto e in molti casi sanciscono un importo fisso applicabile a tutti i rapporti di lavoro (Francia, Germania, Spagna, Usa). In altri casi, invece, il salario è diversificato in base alla tipologia di rapporto e spesso in base all’età del lavoratore. È il caso del Regno Unito, dove il salario minimo è stabilito in base alla quota oraria di 10,42 sterline lorde all’ora (12,15 euro) per i lavoratori oltre i 23 anni e diminuisce gradualmente sino alla metà per i lavoratori tra 16 e 17 anni e gli apprendisti (5,28 sterline). Nei Paesi Bassi il sistema di calcolo è proporzionale all’orario di lavoro settimanale: maggiore è l’orario, minore è l’importo (da 12,79 euro per 36 ore settimanali a 11,51 euro per 40 ore settimanali).

Negli Stati con maggiore eterogeneità culturale ed economica sono stati adottati sistemi misti in cui a una legislazione centrale (solitamente federale) segue una disciplina locale che prevede scostamenti rispetto alla regola generale. In Canada, ad esempio, il minimo salariale è stabilito a livello centrale in 16,65 dollari canadesi (equivalenti a 12,20 euro) ma se la legislazione del singolo territorio applica un importo maggiore, si dovrà usare quest’ultimo. La Cina si è dotata di un sistema che prevede criteri di determinazione stabiliti a livello centrale ma anche regionale, provinciale e addirittura municipale, pur sotto l’egida e il controllo del Governo centrale. Ciò porta a variazioni anche significative del salario, da 2.690 yuan (348 euro mensili) per l’area di Shangai a 2.360 yuan (circa 300 euro mensili) per l’area di Shenzhen.

Davide Boffi - 4 ottobre 2023 – tratto da sole24ore.com

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