Si scrive blended mobility. Si legge mobilità mista, in parte fisica e in parte virtuale. È una delle novità principali di Erasmus+. Nata nel 2020 per fronteggiare l’emergenza coronavirus e gli stop ai viaggi internazionali, questa opportunità si è conquistata la conferma sul campo (e il riconoscimento formale) per i prossimi sette anni. Fino a diventarne uno degli elementi caratterizzanti. Insieme a un aumento del budget e alla scommessa su green, digitale e inclusione come parole chiave del programma di scambio, che dal 1987 a oggi ha coinvolto 570mila universitari e che riguarda anche professori, lavoratori e scuole.

Sul Sole 24 Ore di lunedì 18 gennaio avevamo anticipato che il combinato disposto di Covid e Brexit non avrebbero fermato Erasmus+. E così è stato, come confermano la guida e la call che la Ue ha approvato a fine marzo e che hanno fissato all’11 maggio la prima scadenza utile per la richiesta dei fondi con cui finanziare la mobilità all’interno di università, Its, Afam, scuole superiori eccetera. Con molti atenei, soprattutto i grandi, che hanno scelto di bruciare i tempi e pubblicare i loro bandi senza aspettare le nuove indicazioni di Bruxelles.

Il primo elemento degno di nota è la crescita delle risorse complessive, che passano dai 14,7 miliardi del periodo 2014/2020 ai 26,2 (più altri 2,2 provenienti da fonti extra-Ue) del 2021/27, con cui l’Unione europea conta di coinvolgere 10 milioni di persone. Il 70% del budget finanzierà progetti di mobilità per l’apprendimento dentro e fuori Europa mentre il 30% sarà destinato ai progetti di cooperazione transnazionale. La suddivisione del budget lungo l’intero settennio prevede incrementi graduali di anno in anno. Ciò significa che il 2021 avrà un volume di fondi analogo al 2020 e che dal 2022 il flusso aumenterà progressivamente fino al 2027. Venendo all’Italia e alle due principali azioni chiave, per quest’anno sul piatto ci sono 129,5 milioni di euro, di cui 88,6 per l’istruzione universitaria e 40,8 per quella scolastica (su cui si veda altro articolo in pagina). In un contesto che nei sette anni precedenti ha visto partire 223mila universitari italiani ed entrare 155mila giovani stranieri. Così da confermarci al terzo posto in Europa sia per ingressi sia per uscite.

Tra le altre novità del programma 2021/27 spicca la mobilità mista citata all’inizio, che non significa solo abbinare lezioni o tirocini in presenza e a distanza in chiave anti-Covid (e in attesa di eventuali sviluppi sul passaporto vaccinale) ma anche scegliere uno dei blended intensive programme di 3 mesi, con studenti e docenti di almeno tre Paesi diversi, con cui arricchire il curriculum. Perché, come sottolinea il direttore generale dell’Agenzia Erasmus+ Indire, Flaminio Galli, «le risorse investite dall’Europa consentono ogni anno a migliaia di cittadini di fare esperienza all’estero, in modo da imparare le lingue e arricchire le proprie competenze. Non è un caso che i partecipanti al programma poi siano facilitati nel mercato del lavoro, riuscendo a collocarsi prima e meglio degli altri. Con il programma Erasmus+ si formano generazioni di cittadini europei preparati e pronti alle sfide della società globalizzata».

Dalla spinta sulla didattica mista il nuovo Programma - che vede ridotta da 3 a 2 mesi la durata minima della mobilità e confermata invece a 12 quella massima - punta a guadagnarne sia in inclusione sociale, visto che ridurrà i costi delle trasferte e consentirà l’accesso a redditi più bassi, sia in transizione verso il digitale. Anche mediante il potenziamento delle piattaforme esistenti (eTwinning, School Education Gateway, Portale europeo per i giovani). In una veste più “verde” e sostenibile. Oltre a integrare la borsa di studio dei viaggiatori che partiranno in treno anziché in aereo la grande famiglia di Erasmus+ accoglie tra le sua braccia (e tra i suoi fondi) DiscoverEU: un biglietto ferroviario con cui i 18enni di oggi possono viaggiare in tutta Europa, come quelli di ieri facevano con l’Interrail.

Il tirocinante a Parigi

«Se la scelta è tra farlo e non farlo direi che è meglio partire lo stesso». È il suggerimento che Dario Vinicio Guglietta - laureato in Biotecnologie mediche alla Sapienza di Roma e attualmente impegnato in un tirocinio all’Istituto Pasteur di Parigi - dà ai ragazzi che, in piena pandemia, stanno programmando un’esperienza di studio all’estero. Gugliotta, che è arrivato ormai al sesto mese di Erasmus e a fine maggio tornerà in Italia per provare la strada del dottorato, racconta: «Il primo periodo l’ho svolto tutto in presenza, dopo capodanno la situazione si è complicata e la presenza è scesa al 60 per cento». Per gli esperimenti va in laboratorio mentre analisi e ricerce bibliografiche le fa da casa. Tornando indietro lo rifarebbe? «Sì perché ho avuto modo di lavorare in un altro ambiente e migliorare l'inglese». Con il francese è andata peggio: «Speravo di impararlo in giro per la città ma siamo ancora in semi-lockdown. Se l’aspetto lavorativo è stato più o meno normale, quello sociale si è perso».

La studentessa a Dublino

Anche chi ha scelto di partire durante la magistrale, come Patrizia Russo (iscritta al primo anno di Biotecnologie medico-farmaceutiche a Firenze e ora in Erasmus al Trinity college di Dublino), tornando indietro rifarebbe la stessa scelta. «Si poteva fare anche la mobilità da casa - spiega - ma avendo scelto di seguire i laboratori in presenza dovevo venire qui», spiega al Sole 24 Ore del Lunedì. La capitale irlandese è ancora in lockdown e gli effetti si vedono: «L’università è quasi tutta online. Le lezioni teoriche sono tutte regisrate mentre i laboratori sono una parte in presenza». E anche le biblioteche sono aperte. Nonostante le restrizioni il suo bilancio resta positivo. «Fare l’Erasmus non è solo seguire i corsi ma imparare a cavarsela da sola, vivere in un’altra nazione e conoscere le persone del posto». Compatibilmente con lo stravolgimento che il Covid ha imposto alle nostre vite.

Il musicista a Weimar

Weimar non è una città come tutte le altre. Per la sua storia e per il contributo che ha dato alla cultura europea. Musicale e non solo. Ne è consapevole Daniele Marchese, laureato in clarinetto al Conservatorio di Trapani e iscritto al triennio in fagotto, quando racconta che l’ha scelta per «l’aria diversa che si respira». Nonostante la pandemia e le limitazioni alle performance dal vivo che per un musicista rappresentano tutto. O quasi. Specialmente mentre si sta formando. «Ho svolto la maggior parte delle lezioni in presenza tranne quelle di tedesco che sono online - dice - ma non ho potuto fare orchestra che per noi è la base». Il massimo a cui si è arrivati è stato un trio di fagotti. Musica a parte, le rinunce - rispetto alle esperienze pre-coronavirus - ci sono state anche sul piano ludico-sociale. Ma Marchese non si lamenta: «Ho avuto la conferma che posso fare quello che voglio, cioè il musicista, dovunque. Anche con una pandemia in corso».

Eugenio Bruno - 15 aprile 2021 – tratto da sole24ore.com

Altre notizie