L’accorpamento di Imu e Tasi ha preso corpo nella manovra 2020 (articolo 95) e per i municipi sarà più facile alzare l’aliquota unica sino all’attuale massimo dell’11,4 per mille, senza neppure l’obbligo di indicare a cosa serviranno i soldi. Il calcolo sarà più semplice

Non si spenderà di più: il mantra del Governo giallorosso (ma era lo stesso del precedente) sull’accorpamento di Imu e Tasi ha messo in allarme la proprietà edilizia. In effetti, queste rassicurazioni tendono a creare il sospetto che possa avvenire il contrario, come con la paventata riforma degli estimi catastali, per ora congelata.

Il gioco delle aliquote
In sostanza, il Ddl di Bilancio 2020 prevede che la Tasi scompaia e rimanga l’Imu. Ma mentre la prima è una tassa, quindi come tale legata al tipo di servizi comunali che deve andare a coprire e necessita di una delibera che lo specifichi, l’altra (vecchia o nuova che sia), essendo un’imposta serve a coprire in generale i fabbisogni municipali senza dover fornire giustificazioni.

Attualmente l’Imu massima è al 10,6 per mille (e ad essa sono allineati moltissimi Comuni), mentre la Tasi (che non è stata istituita ovunque) ha come aliquota massima l’1 per mille. Ma il massimo di Imu+Tasi oggi può arrivare, con la maggiorazione speciale dello 0,8 per mille, appunto all’11,4 per mille, cioè esattamente l’aliquota massima della nuova Imu.

Quindi, astrattamente, gli eventuali aumenti da parte dei Comuni che ancora non avevano toccato il massimo livello di tassazione sono possibili ora come in futuro e chi ci è già arrivato (come Roma, Milano, Bologna e Firenze) non può ricorrere a ulteriori aggravi.

I rischi
Non è quindi possibile prevedere cosa succederà nel 2020, ma le tentazioni si moltiplicheranno per i Comuni, sia per quelli in buono stato economico (che comunque beneficeranno dell’aumento dell’aliquota minima Imu dal 7,6 all’8,6 per mille se la applicavano), sia per quelli in crisi che troveranno certo più semplice un innalzamento generale senza ricorrere all’istituzione della Tasi con relativa indicazione di specifici servizi.

A soffrire saranno le poche abitazioni principali che oggi pagano (ville, case storiche e abitazioni signorili), perché l’aliquota passa dal 4 al 5 per mille, salva la possibilità di esenzione da parte dei Comuni.

Non solo: andrebbe a carico del proprietario anche quella parte di Tasi (dal 10 al 30% dell'imposta) che attualmente è a carico di chi utilizza gli immobili (per esempio l’inquilino nei contratti di locazione).

Saverio Fossati - 06 novembre 2019 – tratto da sole24ore.com

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