Ho cessato il rapporto di lavoro con il mio datore di lavoro, in seguito a dimissioni per giusta causa in quanto lo stesso non mi corrispondeva lo stipendio. Ora, non ho capito bene se ho diritto all’indennità di disoccupazione, Naspi, dato che mi dicono che la stessa spetta in caso di licenziamento e non di dimissioni. Credo che nel mio caso avrei diritto, dato che le dimissioni sono state forzate; potete spiegarmi bene come stanno effettivamente le cose e quali sono i requisiti per accedere alla prestazione?

Possiamo subito tranquillizzare il lettore, in quanto nel caso specifico delle dimissioni che avvengano per giusta causa, si ha diritto a percepire la Naspi. Infatti, la stessa prestazione spetta nel caso in cui la cessazione del rapporto di lavoro sia dovuta a cause non imputabili al lavoratore; in pratica, deve esserci una disoccupazione involontaria. Tale situazione, ricorre anche se le dimissioni non siano riconducibili alla libera scelta del lavoratore ma siano indotte da comportamenti altrui che implicano la condizione di non proseguibilità del rapporto di lavoro.
La materia della disoccupazione, ha avuto un riordino con il Dlgs 22/2015; la Naspi, è andata a sostituire le indennità Aspi e miniAspi, con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1° maggio 2015. È riconosciuta ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti: siano in stato di disoccupazione; possano far valere, nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione almeno tredici, 13, settimane di contribuzione contro la disoccupazione. Fino al 31 dicembre 2021, era necessario anche essere in possesso di trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione; con la legge 234/2021, di Bilancio 2022, si è provveduto all’eliminazione di tale requisito per gli eventi di disoccupazione involontaria intervenuti a fare data dal 1° gennaio 2022, con la conseguenza che l’accesso alla prestazione è ammesso in presenza dei soli requisiti dello stato di disoccupazione involontario e delle tredici settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Abbiamo detto che lo stato di disoccupazione deve essere involontario e quindi, sono esclusi i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni o di risoluzione consensuale. Però, come chiarito dall’Inps con varie circolari e messaggi, la Naspi è riconosciuta in caso di dimissioni che avvengano per giusta causa motivate dal mancato pagamento della retribuzione, come il caso in argomento, dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro, dalle modificazioni peggiorative delle mansioni lavorative, dal mobbing, ecc. Per contribuzione utile al diritto si deve intendere anche quella dovuta ma non versata, in base al principio della cosiddetta automaticità delle prestazioni ex articolo 2116 del Cc. Per il perfezionamento delle tredici settimane, si considerano utili i contributi previdenziali, comprensivi di quota per la disoccupazione versati durante il rapporto di lavoro subordinato, i contributi figurativi accreditati per maternità obbligatoria se all’inizio dell’astensione risulta già versata o dovuta contribuzione ed i periodi di congedo parentale purché regolarmente indennizzati e intervenuti in costanza di rapporto di lavoro, i periodi di lavoro all’estero in paesi comunitari o convenzionati ove sia prevista la possibilità di totalizzazione.
La Naspi è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Per fruire dell’indennità i lavoratori aventi diritto devono, a pena di decadenza, presentare domanda all’Inps in via telematica, entro il termine di decadenza di sessantotto giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Aldo Forte - 24 novembre 2023 – tratto da sole24ore.com

 

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