L'Italia viola il diritto dei lavoratori nei casi di licenziamenti illegittimi. Lo stabilisce il comitato europeo dei diritti sociali rispondendo al reclamo della Cgil del 2017, con una decisione che potrebbe far riaprire la partita su art. 18 e licenziamenti. Ciò che manca è «un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione», che l'art. 24 della Carta sociale europea (cui l'Italia aderisce) prevede a favore dei lavoratori licenziati «senza valido motivo». La decisione, notificata ad ottobre, è stata resa pubblica ieri dalla Cgil, a distanza dei quattro mesi che è il tempo dato al governo per far valere eventuali ragioni a discolpa (cosa che l'Italia non ha fatto). La pronuncia, di spessore soprattutto politico, potrebbe anche sostenere i giudici nell'intraprendere nuove strade per impugnare la disciplina Jobs Act (dlgs n. 23/2015). Per la Cgil, «il monito di Strasburgo è netto e ineludibile» e «la via da seguire esiste: è rappresentata dall'art. 18 dello Statuto lavoratori, dal quale è necessario ripartire».

La disciplina oggi. La contesa riguarda la principale novità del Jobs Act: il «contratto a tutele crescenti» (dlgs n. 23/2015) che dal 7 marzo 2015 ha distinto in due i regimi di tutela dei lavoratori nei casi di licenziamenti illegittimi: uno per i «vecchi assunti» (dipendenti in forza al 6 marzo 2015); l'altro per i «nuovi assunti» (dipendenti in forza dal 7 marzo 2015). La differenza tra i regimi è la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro (il famigerato art. 18): continua a valere solo per i «vecchi assunti». Con le «tutele crescenti», invece, eccetto i casi di licenziamenti nulli e/o inefficaci, per i quali è rimasta la reintegrazione, negli altri casi di licenziamento ingiustificato il datore di lavoro è condannato soltanto a pagare un'indennità al lavoratore, mentre è confermato il recesso, «non inferiore a sei e non superiore a 36 mensilità» (è stato il dl n. 87/2018, c.d. decreto dignità, a elevare i limiti che prima erano 4 e 24 mensilità). Con sentenza n. 194/2018, la Corte costituzionale ha censurato il criterio di quantificazione dell'indennità, perché troppo rigido, non graduabile in relazione a parametri diversi dall'anzianità, rendendola uniforme a tutti i lavoratori con pari anzianità di servizio. Quindi ha rimesso al giudice il compito di determinarne la misura.

La vertenza. Nella vertenza la Cgil ha sostenuto che l'Italia violi l'art. 24 della Carta sociale europea, perché il sistema indennitario non consente a chi è stato licenziato illegittimamente di ottenere con un processo un risarcimento adeguato in rapporto al danno subito e non ha un carattere dissuasivo per il datore di lavoro, nella misura in cui l'indennità è limitata dal plafond. Sostiene, inoltre, che gli importi percepiti dai lavoratori illegittimamente licenziati sono ulteriormente ridotti, perché la legge incoraggia il ricorso a procedure di conciliazione che offrono ai lavoratori la possibilità di avere un'indennità senza spese e ritardi dei procedimenti, ma che avvantaggiano il datore di lavoro.

La decisione. Per il Comitato L'Italia viola l'art. 24 della Carta, perché i sistemi di tutela alternativi non offrono al lavoratore licenziamento illegittimamente una possibilità di risarcimento oltre il tetto previsto per legge, né la conciliazione consente di ottenere un risarcimento proporzionato al danno subito, e tale da dissuadere l'uso dei licenziamenti illegittimi.

Daniele Circoli – 12 dicembre 2020 – tratto da Italia Oggi

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