La polmonite da Covid richiede la verifica dell'idoneità alla mansione. Infatti, il lavoratore che si è ammalato sviluppando un'infezione respiratoria con necessità di ricovero può riprendere il lavoro previa visita medica d'idoneità, a prescindere dalla durata dell'assenza di malattia. Lo precisa il ministero della salute nella nota prot. n. 15127/2021, in cui aggiorna le procedure di rientro dei lavoratori dopo l'assenza per Covid, alla luce del protocollo 6 aprile.

Lavoratori con sintomi gravi e ricovero. Il primo caso riguarda le situazioni più gravi: soggetti con polmonite o infezione respiratoria acuta grave, che potrebbero presentare ridotta capacità polmonare, anche fino al 20-30%; soggetti che sono stati ricoverati in terapia intensiva, i quali possono continuare ad avere disturbi rilevanti. In entrambe le ipotesi, spiega il ministero, il medico competente, se nominato, previa presentazione di certificazione di negativizzazione, effettua la visita medica «precedente alla ripresa del lavoro a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai 60 giorni continuativi», per verificare l'idoneità alla mansione e per valutare eventuali profili di rischiosità. La visita è dovuta indipendentemente dalla durata dell'assenza per malattia (anche se non superiore a 60 giorni).

Lavoratori sintomatici. Il secondo caso riguarda sempre lavoratori con sintomi di malattia, ma più leggeri (diversi dal precedente caso): possono rientrare in servizio dopo l'isolamento di almeno 10 giorni (senza considerare anosmia e ageusia/disgeusia che possono prolungarsi nel tempo), accompagnato da test negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi. Ai fini del rientro, il lavoratore trasmette, anche in via telematica, al datore di lavoro per il tramite del medico competente, se nominato, il certificato di negativizzazione.

Lavoratori asintomatici. Il terzo caso riguarda i lavoratori positivi ma asintomatici: possono rientrare al lavoro dopo un isolamento di almeno 10 giorni e test negativo. Ai fini del rientro, il lavoratore trasmette, anche in via telematica, al datore di lavoro per il tramite del medico competente, se nominato, il certificato di negativizzazione. Tali lavoratori (positivi, ma guariti come certificato da tampone negativo), qualora abbiano contemporaneamente nel proprio nucleo familiare convivente casi ancora positivi, non vanno considerati alla stregua di «contatti stretti» (si veda più avanti).

Lavoratori positivi a lungo termine. Quarto caso concerne i soggetti che, pur continuando a essere positivi, non hanno sintomi da oltre una settimana (tranne ageusia/disgeusia e anosmia): possono interrompere l'isolamento dopo 21 giorni. Tuttavia, in applicazione del principio di massima precauzione, vale quanto disposto dal recente Protocollo del 6 aprile: possono essere riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone. Il lavoratore trasmette il referto, anche in modalità telematica, al datore di lavoro, per il tramite del medico competente, se nominato.

Lavoratore contatto stretto. Infine, il lavoratore che sia un contatto stretto di un caso positivo informa il proprio medico curante che rilascia certificazione di malattia, salvo che non possa essere collocato in regime di lavoro agile. Per la riammissione in servizio, il lavoratore deve aver fatto una quarantena di dieci giorni e avere un tampone con referto di negatività, di cui ne dà informazione al proprio il datore di lavoro per il tramite del medico competente, se nominato.

Daniele Cirioli - 14 aprile 2020 – tratto da Italia Oggi

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