No all'attribuzione per default del cognome della madre che lo riconosce per prima. Vale l'interesse del minore e la sua volontà, se in grado di esprimerla

Nessun automatismo nell'attribuzione del cognome del minore nato fuori dal matrimonio. La Cassazione, dà una spallata al criterio secondo il quale, nel caso sia la madre a riconoscere per primo il figlio, vale la regola di darle il suo cognome, senza possibilità per il padre di imporre il suo, in un secondo momento, anche se questa è la volontà espressa dal minore, con l'avallo della madre, come avvenuto nel caso esaminato. La Suprema corte chiarisce, infatti, che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, con una copertura costituzionale assoluta. E l' individuazione del cognome che il minore va ad assumere non può essere connotata da nessuna regola rigida, “ma è rimessa al prudente apprezzamento del giudice che deve considerare la convenienza del minore, in base all'ambiente in cui è cresciuto fino al momento del riconoscimento da parte del padre, prescindendo, anche a tutela dell'eguaglianza fra i genitori, da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome”

Una lettura elastica della norma

La Cassazione fornisce una lettura “elastica” dell'articolo 262, del codice civile, secondo il quale in seguito alla dichiarazione giudiziale di paternità, il figlio “può” assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Una norma che «prospettando in termini di mera eventualità l'assunzione del cognome paterno in caso di riconoscimento o accertamento della filiazione nei confronti del padre successivamente al riconoscimento da parte della madre, esclude la configurabilità di tale vicenda come effetto automatico del riconoscimento o della dichiarazione giudiziale di paternità, cui si collega, ove il figlio nato fuori dal matrimonio sia maggiorenne, una facoltà discrezionale, cui corrisponde una situazione di soggezione del genitore».

Nel caso del minore, la disposizione lascia al giudice la decisione relativa all'assunzione del cognome del genitore, “trattandosi di un potere la cui attribuzione trova la sua giustificazione nel difetto di capacità del minore, al quale peraltro è riconosciuto (nella formulazione di tale disposizione, introdotta dal Dlgs n. 154/2013, il diritto di essere ascoltato, qualora abbia compiuto dodici anni o anche se sia in età inferiore, a condizione in quest'ultimo caso che risulti capace di discernimento”.

L'interesse e la volontà del minore

La valutazione, ampiamente discrezionale, riguarda il giudizio di merito. Nel caso esaminato - precisa la Cassazione - la Corte di appello si è astenuta da qualsiasi valutazione ed ha applicato impropriamente il criterio automatico previsto per il caso del figlio riconosciuto alla nascita da entrambi i genitori non coniugati, in assenza di differente accordo, come formulato dalla Corte Costituzionale.

In questo modo, la Corte di merito, nonostante si trattasse di un caso di decisione giudiziale, “ha svuotato di contenuto le disposizioni proprie, applicabili alla fattispecie in esame, non ha compiuto alcuna valutazione dell'interesse del minore e neppure ha preso in seria considerazione la preferenza da questi espressa, che – anche se non vincolante – era, comunque, uno degli elementi da apprezzare, congiuntamente ed in relazione agli altri indici significativi (contesto e relazioni sociali, situazione familiare allargata per la presenza di fratelli di discendenza paterna, ed altro), a quanto segnalato o espresso dalla madre” . La ricorrente, infatti, che, aveva espresso il suo accordo “per la rinuncia al suo cognome al discendente, e a quanto dedotto dal padre, al fine di individuare la scelta maggiormente consona all'interesse del minore”. Il giudice deve dunque prescindere da ogni automatismo e guardare solo all'interesse del figlio, tutelando in particolare solo il diritto all'identità personale.

Patrizia Maciocchi - 5 giugno 2024 – tratto da sole24ore.com

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