È incostituzionale negare il bonus bebè e l’assegno di maternità agli stranieri extracomunitari non titolari del permesso per soggiornanti Ue di lungo periodo. Le norme sul quale la Corte costituzionale ha passato un colpo di spugna con la sentenza 54 (redattrice la Vicepresidente Silvana Sciarra) sono in contrasto con la Carta perchè «istituiscono per i soli cittadini di Paesi terzi un sistema irragionevolmente più gravoso, che travalica la pur legittima finalità di accordare i benefici dello stato sociale a coloro che vantino un soggiorno regolare e non episodico sul territorio della nazione», e negano una tutela adeguata proprio a chi si trova in condizioni di più grave bisogno.

La Corte di Lussemburgo

La decisione, anticipata con un comunicato stampa del 12 gennaio 2022, arriva dopo la pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea del 2 settembre 2021 (C-350/20), che ha risposto ai quesiti posti il 30 luglio 2020 dalla Consulta, con l’ordinanza di rinvio pregiudiziale n. 182. La Corte di Lussemburgo ha affermato l’incompatibilità della normativa italiana con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, e con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/Ue, sulla parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri. La decisione della Consulta è in linea con il verdetto della Grande sezione secondo la quale entrambi gli assegni rientrano nei settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi beneficiano, in base alla direttiva, del diritto alla parità di trattamento. La Corte Ue aveva ricordato anche che l’Italia non si è avvalsa della facoltà offerta dalla direttiva agli Stati membri di limitare la parità di trattamento. Per questo le norme italiane sottoposte all’attenzione della Corte Ue sono state dichiarate non conformi al diritto dell’Unione.

Costituzione e Carta di Nizza

La Corte costituzionale sottolinea che il suo compito è «assicurare una tutela sistemica, e non frazionata, dei diritti presidiati dalla Costituzione, anche in sinergia con la Carta di Nizza, e di valutare il bilanciamento attuato dal legislatore, in una prospettiva di massima espansione delle garanzie».La disciplina dichiarata incostituzionale lede il diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, tutelato dall’articolo 34 della Carta in connessione con l’articolo 12 della direttiva 2011/98 Ue, che ha riconosciuto un insieme di diritti ai cittadini di Paesi terzi ammessi nello Stato per finalità lavorative o per finalità diverse, ai quali è consentito lavorare. Il principio di parità di trattamento, si raccorda «ai principi consacrati dagli articoli 3 e 31 della Costituzione – si legge nella sentenza - e ne avvalora e illumina il contenuto assiologico, allo scopo di promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi». La tutela della maternità e dell’infanzia (articolo 31 della Costituzione), «non tollera distinzioni arbitrarie e irragionevoli». Il giudice delle leggi ha escluso una ragionevole correlazione tra il requisito del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, subordinato al possesso di requisiti reddituali rigorosi, e il riconoscimento di prestazioni che attuano la tutela della maternità e dell’infanzia, sancita dall’articolo 31 della Costituzione, e fronteggiano lo stato di bisogno legato alla nascita di un bambino o alla sua accoglienza nella famiglia adottiva.

Discrezionalità dello Stato con il limite della regionevolezza

La Consulta ricorda che é costante nell’affermare che spetta alla discrezionalità del legislatore il compito di individuare i beneficiari delle prestazioni sociali, tenendo conto del limite delle risorse disponibili. Un’individuazione che resta però vincolata al rispetto del canone di ragionevolezza. Per questo l’introduzione di requisiti selettivi è ammessa «a patto che obbediscano a una causa normativa adeguata e siano sorretti da una giustificazione razionale e trasparente».

L’assegno unico universale e la legge europea

La Corte costituzionale, nella sentenza, fa riferimento anche alla legge 46/2021 sull’assegno unico universale «che prefigura il superamento o la graduale soppressione dell'assegno di natalità, sottoposto all'odierno scrutinio». Novità che, sottolinea il giudice delle leggi, «non incidono sui giudizi a quibus, concernenti fattispecie che si sono perfezionate nella vigenza della disciplina anteriore e che – al metro di tale disciplina – devono essere valutate». Per le stesse ragioni sono considerate ininfluenti anche le modifiche introdotte dall’articolo 3 della legge europea (legge 238/2021) che ha ridefinito le condizioni di accesso dei cittadini dei Paesi terzi alle prestazioni sociali in termini generali e con specifico riguardo all'assegno di natalità e all'assegno di maternità.

Infondati i timori per gli equilibri di bilancio

Per finire è considerata infondata la richiesta che, in via gradata, ha formulato la difesa dello Stato, per limitare «pro futuro» gli effetti temporali della declaratoria di illegittimità costituzionale. «L’interveniente - si legge nella sentenza - ha allegato in modo generico il paventato pregiudizio agli equilibri di bilancio e non ha contestato gli argomenti delle parti private in merito alla limitata incidenza della pronuncia di accoglimento, che concerne una normativa superata dal richiamato ius superveniens e un contenzioso in larga parte esaurito con l’immediato riconoscimento delle prestazioni di sicurezza sociale agli stranieri»

Patrizia Maciocchi - 4 marzo 2022 – tratto da sole24ore.com

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