Le calze non fanno parte della divisa e non coprono i segni del tatuaggio anche se è stato quasi del tutto rimosso. Con queste motivazioni il Consiglio di Stato, aveva avallato la decisione della commissione medica del ministero dell’Interno, di giudicare non idonea al servizio un’aspirante commissaria che aveva partecipato al concorso per ottanta posti alla polizia di Stato. Una decisione percepita come ingiusta, anche perché discriminatoria rispetto agli uomini, contro la quale la donna aveva fatto ricorso in Cassazione. Ma la Suprema corte, a Sezioni unite, non ha potuto fare altro che considerare il ricorso inammissibile, da una parte perché i giudici amministrativi erano andati oltre il loro potere giurisdizionale, dall’altra per l’impossibilità di sindacare il verdetto anche nell’ipotetico caso di un cattivo esercizio della giurisdizione.

L’uniforme ordinaria gonna e decollété

Secondo la ricorrente i giudici di Palazzo Spada avevano fatto ricorso ad una giurisprudenza creativa, invadendo il campo della discrezionalità dell’amministrazione, nel decidere che le calze, comunque inutili a coprire il disegno sulla pelle, non fanno parte dell’uniforme, creando così una nuova norma sui capi di abbigliamento destinati alle forze dell’ordine. Secondo il decreto del ministero, infatti, i tatuaggi presenti sul corpo non coperti dalla divisa fanno scattare l’esclusione in automatico. Mentre i disegni sulla pelle coperti rendono il candidato non idoneo solo nel caso «per sede o per natura» siano deturpanti o per contenuto «indice di personalità abnorme». Senza successo l’aspirante commissaria sottolinea, la disparità di trattamento in base al genere, perché per un candidato di sesso maschile il problema non si sarebbe mai posto. Vale, ovviamente, solo per le donne, la prescrizione di indossare, nelle occasioni di gala, l’uniforme “ordinaria” composta da gonna con calze e décolleté, che pone il problema della visibilità del tatuaggio.

Tatuaggi diritto di espressione

La Suprema corte mostra comprensione per il problema. «Il collegio delle Sezioni unite - si legge nella sentenza - è consapevole del fatto che le disposizioni limitative in materia di tatuaggi coinvolgono il tema delle libertà costituzionali, in particolare della libertà di espressione, e che, proprio per questo, il giudice deve evitare, nel momento interpretativo, letture restrittive della normativa regolamentare che si risolvono in un esito discriminatorio per le donne che intendono accedere in Polizia di Stato, tenuto conto della diversa uniforme femminile che, in alcuni casi non copre in modo identico ai pantaloni». Detto questo però il ricorso resta inammissibile. Il giudizio del Tar in assenza di difetti di giurisdizione, superata o negata, è insindacabile.

Patrizia Maciocchi - 28 marzo 2023 – tratto da sole24ore.com

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