La Corte di Cassazione si pronuncia su una lite tra vicini per uno sversamento d’acqua

Il caso deciso dalla terza sezione della Cassazione con l’ordinanza numero 21977 del 12 luglio 2022 aveva inizio a seguito della richiesta risarcitoria azionata giudizialmente dal proprietario di un immobile sito in un condominio. Questo condòmino agiva in giudizio citando il vicino del piano superiore il cui appartamento, a suo dire, aveva cagionato danni alla proprietà attorea con uno sversamento d’acqua che si era esteso tanto al soffitto quanto all’impianto elettrico della sua abitazione.

Si costituiva in giudizio il vicino del piano superiore il quale, oltre a domandare il rigetto della richiesta, chiedeva al giudice di poter chiamare in causa alcune imprese che stavano realizzando lavori edili nell’appartamento al momento dell’allagamento. A detta del convenuto, infatti, egli non avrebbe avuto responsabilità in quanto, anche in ipotesi di danno all’appartamento sottostante, questo sarebbe stato causato dall’imperizia delle imprese appaltatrici che stavano eseguendo i lavori.

Le pronunce di merito

All’esito del primo giudizio, il Tribunale accoglieva le eccezioni del convenuto e rigettava la domanda di parte attrice. Il giudizio, quindi, approdava in sede di appello, ma la Corte – non discostandosi dal primo giudice – sostanzialmente confermava il rigetto della domanda risarcitoria del proprietario dell’appartamento sottostante motivando la stessa sulla base dell’inapplicabilità dell’articolo 2051 del Codice civile.

Tale norma afferma che «ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito». A detta del giudice del riesame, tuttavia, nel caso di specie la succitata norma non poteva trovare applicazione in quanto non sarebbe ricorsa un'ipotesi di danni cagionati dalla cosa, ma al massimo arrecati dal fatto umano (dell’appaltatore).

Il ricorso alla Suprema Corte

Stante la duplice soccombenza, la parte danneggiata decideva di agire in sede di Cassazione, contestando la decisione della Corte d’appello. Con l’ordinanza in commento, gli ermellini ne mettevano in discussione l’operato, cassando la decisione impugnata.

Ma quale era il principio giuridico violato? A detta della Suprema Corte, secondo consolidata giurisprudenza, il dettame dell’articolo 2051 del Codice civile trova applicazione in casi come quello in questione, ossia nei quali il danno da allagamento deriva dall’attività umana, in quanto tale situazione non appare aliena rispetto al rapporto di custodia che ai sensi della citata norma impone al custode di tenere indenne dai danni colui che venga danneggiato dalla cosa (si vedano ad esempio Cassazione sezione terza, sentenza numero 41435 del 23 dicembre 2021, Cassazione sezione quarta, ordinanza numero 31601 del 4 novembre 2021 e Cassazione sezione terza, sentenza numero 7553 del 17 marzo 2021).

Risarcimento dovuto

In buona sostanza, quindi, l’articolo 2051 del Codice civile trova applicazione sia se il danno ha luogo a causa delle caratteristiche fisico-dinamiche della cosa, sia se cagionato dal cosiddetto “agente dannoso”, una persona che agisce sulla cosa danneggiandola. Secondo la Cassazione, infatti, «è di conseguenza irrilevante, al fine di escludere la responsabilità ex articolo 2051 Codice civile, che il processo dannoso sia stato provocato da elementi esterni, quando la cosa sia obiettivamente suscettibile di produrre danni» (tratto dall’ordinanza in commento, ma si veda anche Cassazione terza sezione, sentenza numero 6121 del 18 giugno 1999).

Sia in caso di danno proveniente dalla cosa in sé, che cagionato dall’intervento umano – proseguiva la Cassazione – grava comunque sul custode l’onere di vigilanza affinché la cosa non causi danni a terzi e l’onere di risarcire gli stessi in caso di sinistro (si veda Cassazione sezione terza, sentenza numero 723 del 27 gennaio 1988).

La responsabilità spetta all'appaltatore

In caso di appalto, il proprietario può liberarsi dalla responsabilità dei danni cagionati dalla cosa unicamente laddove sia in grado di dimostrare di avere ceduto all’appaltatore il totale potere di fatto sull’immobile, di modo da eliminare così temporaneamente l’onere di vigilanza sullo stesso.

In assenza di tale prova il proprietario/custode sarà sempre tenuto a risarcire il vicino danneggiato dall’alluvione proveniente dal suo appartamento e avrà eventuale diritto di regresso del danno verso l’appaltatore eventualmente responsabile. Alla luce di questo ragionamento, quindi, la Cassazione sovvertiva completamente la decisione d’appello e, richiamati i precedenti giurisprudenziali sopra menzionati, rinviava il giudizio ad altra sezione della Corte d’appello per una nuova valutazione nel merito.

Edoardo Valentino - 20 luglio 2022 – tratto da sole24ore.com

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