Come la tombola, l’albero e gli auguri di rito, a Natale torna anche quest’anno il tormentone sul taglio delle pensioni dei superstiti. E il tema diventa oggetto di scontro politico amplificato per interessi di parte, dimenticando - colpevolmente - che la norma che la determina è in vigore dal 1995 ed è stata applicata da tredici governi (quindi di tutti gli orientamenti attualmente rappresentati in Parlamento) prima dell’attuale. Ma spieghiamo bene in cosa consiste la norma, varata all’interno della riforma Dini, la 355/95, varata 24 anni fa dal governo dell’epoca e di cui annualmente una circolare dell’Inps descrive e regola l’attuazione.

La circolare Inps
La pensione di reversibilità per i superstiti, anche quest’anno è stata oggetto di precisazione da parte della circolare Inps n.147 dell'11/12/2019, in cui si chiarisce che «la pensione ai superstiti a partire dal 1.9.1995 viene ridotta se il titolare possiede altri redditi»

In altre parole, maggiore è il reddito, maggiore sarà la riduzione dell’importo della prestazione pensionistica riscossa dal superstite . A scanso di equivoci, è il caso di precisare che questa riduzione non si somma a quella degli anni passati ma è parametrata ogni anno all’ammontare “pieno” percepito cioè in assenza delle condizioni che fanno scattare la riduzione (il reddito). Anzi: in teoria questa riduzione, nel caso in cui la pensione della vedova o del vedovo scenda sotto l’aliquota indicata, potrebbe anche essere vanificata.

Le maggiorazioni pensionistiche
La riduzione della pensione di reversibilità non è parametrata solo al reddito dei superstiti, al contrario aumenta in caso di presenza di una serie di condizioni: passa dal 60% al 70% in presenza di un figlio, all’80% in presenza di due e così via, aggiungendo un ulteriore 15% «per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti». D’altro canto, a partire dall’1/1/2012, le pensioni per i superstiti si riducono «nei casi in cui - spiega l’Inps - il deceduto abbia contratto matrimonio ad un'età superiore a 70 anni; la differenza di età tra i coniugi sia superiore a 20 anni o il matrimonio sia stato contratto per un periodo di tempo inferiore ai dieci anni. La decurtazione della pensione ai superstiti non opera qualora vi siano figli minori, studenti o inabili».

«Non è mai abbastanza»
Insomma, il sistema previdenziale italiano presenta una serie di tutele non trascurabili nel calcolo della reversibilità dell’assegno pensionistico, almeno se confrontato con i sistemi degli altri paesi più industrializzati. Ma prima di specificare questo confronto chiariamo tuttavia un punto, diciamo così psicologico: la pensione non è mai abbastanza. Non lo è per una serie di ragioni: 1) sono difficilmente integrabili con altri redditi, vista l’età (e la salute) di chi la percepisce; 2) diventa quindi l’unica e non diversificabile fonte di reddito del pensionato, peraltro in una fase vulnerabile della propria esistenza; 3) che, se superstite, lega inevitabilmente la pensione di reversibilità alla spettanza del coniuge deceduto, anche se le norme per la sua determinazione non sono direttamente parametrate ad essa; 4) gli Stati peraltro non hanno le risorse per collegare le prestazioni pensionistiche (quindi anche quelle reversibili) direttamente all’inflazione, il che determinerebbe una crescita strutturale.

Il confronto internazionale
Ciò detto il confronto tra paesi Ocse sul tema reversibilità offre spunti particolarmente interessanti, che ci consentono ulteriormente di astrarci dalle polemiche politiche e dal rischio che la materia venga strumentalizzata per interessi di parte, in contesti come i la tv o i social media, dove l’approfondimento e l’analisi dei dati fatica ad occupare il centro della scena.

L’Italia è tra i paesi in cui il peso delle prestazioni di reversibilità, sul totale delle pensioni, è il più alto e riguarda circa 4,4 milioni di pensionati per una spesa complessiva di oltre 41 miliardi di euro l’anno. Le statistiche ovviamente tengono conto di una pluralità di forme e regole dei singoli paesi che rendono il confronto tra i sistemi difficilmente sovrapponibile; tuttavia i grandi numeri confermano l’attenzione del sistema italiano per vedove e vedovi: l’Italia è il paese che spende meno degli altri in termini di pensioni private, ossia integrative determinate cioè grazie a strumenti di previdenza complementare non obbligatoria. Ma è quello che spende di più in relazione al Pil.

Un nuovo concetto di reversibilità
Com'è noto, i sistemi previdenziali consentono di gestire il rischio longevità da una parte e dall'altra il “rischio sopravvivenza alle proprie risorse”, in un difficile equilibrio tra le risorse e prestazioni. Il rapporto Ocse relativo al 2018 (“Are survivor pensions still needed?”) offre molti spunti di approfondimento sul tema. Tra questi, il tema dei costi dovuti alle prestazioni da erogare ai coniugi superstiti dall'età molto diversa da quella del titolare: com'è noto, la demografia fotografa per i prossimi decenni un trend tendente alla coincidenza tra l'aspettativa di vita tra uomini e donne. Il che fa ipotizzare la diffusione delle cosiddette “joint-and-survivor annuities” ossia prodotti assicurativi per coppie la cui reversibilità è al 100%, che prevedono un livello di partenza più basso. Di quanto? Il confronto con i differenti paesi che adottano questa modalità suggerisce agli studiosi dell'Ocse di identificare la riduzione della prestazione in circa il 6%.

Marco lo Conte – 31 dicembre 2019 – tratto da sole24ore.com

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