Risarcita una signora caduta per colpa del minore che giocava a pallone. Per i giudici una buona educazione e la vigilanza avrebbero evitato il danno
Le colpe dei figli, ricadono sui padri, e anche sulle madri, che non sono in grado di dimostrare di averli ben educati e che non li sorvegliano adeguatamente. Ne è convinta la Cassazione che, con la sentenza 27061, respinge il ricorso dei genitori di un undicenne che intento a giocare a pallone con dei coetanei, non aveva badato a una signora che passava e l'aveva travolta facendola cadere. I giudici appello avevano condannato la coppia a risarcire con 11mila euro la donna.
Il concorso di colpa nell’articolo 2048 del Codice civile
Una decisione che la Cassazione avalla affermando che esiste “una responsabilità diretta per fatto (anche) proprio dei genitori che concorre con quella del minore per non avere essi, con idoneo comportamento, educativo e di sorveglianza, rapportato alle esigenze e al carattere del minore, impedito il fatto dannoso”. Il principio affermato dalla Suprema corte si basa sull'articolo 2048 del Codice civile, secondo il quale “il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati salvo provino di non aver potuto impedire il fatto”.
Il rispetto delle regole di civiltà
E per provarlo - aveva sottolineato la Cassazione già nel 2011, con la sentenza 26200 - devono dimostrare “di aver impartito al figlio una buona educazione e di avere esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità alle condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore”.
Anche in quell'occasione galeotto era stato il pallone. I genitori erano stati accusati di non avere educato a dovere il loro bambino che, durante la partita, aveva dato una testata sulla bocca di un giocatore della squadra avversaria a gioco fermo. E lì i giudici avevano estratto il “cartellino rosso”, fischiando il doppio fallo, in concorso sia per il minore sia per il padre e la madre.
La Cassazione aveva ribaltato il verdetto assolutorio della Corte d'appello, secondo la quale non era giusto condannare i genitori al pagamento dei danni, perché l'unico colpevole di non aver rispettato le regole del gioco era il ragazzo. E comunque i genitori “non avrebbero potuto intervenire nel corso della competizione sportiva”. Per la Cassazione però la tesi della Corte territoriale non teneva conto di un “particolare”: che l'educazione andava data a monte. Quello che si chiedeva non era un intervento nei 90 minuti dell'incontro, ma nel corso di tempi ben più lunghi.
La Suprema corte aveva, infatti, sottolineato che “i criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono, sia nel potere dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, sia, anche, e soprattutto, nell'obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l'educazione al rispetto delle regole delle civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari” .
Patrizia Maciocchi - 18 ottobre 2024 – tratto da sole24ore.com