Tutti evadono, parola di commercialista. La convinzione che dipendenti e pensionati paghino per intero le tasse e che l’evasione sia da ricondursi per intero alle partite Iva è messa in discussione dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, che ritiene si tratti di un «Fenomeno trasversale che per quasi la metà del suo ammontare è riconducibile a chi una partita Iva non ce l’ha». La Fondazione nazionale ha analizzato i dati contenuti nella Relazione annuale sull’evasione fiscale e contributiva del Mef, che parlano di 107,7 miliardi di evasione fiscale e contributiva.

I commercialisti sottolineano come quella riconducibile al lavoro dipendente irregolare ammonta a 15 miliardi. Vi sono poi, si legge nel comunicato, una serie di voci trasversali alla contrapposizione dipendenti/pensionati versus autonomi/imprese, quali quelle concernenti l’evasione di canone Rai, Imu e locazioni immobiliari, per complessivi 7,4 miliardi. 
Per la Fondazione sono invece interamente riconducibili all’evasione propria delle partite Iva le voci relative a Irpef per lavoro autonomo e impresa, Irap e Ires, per complessivi 49,5 miliardi.

Rimangono infine i 35,8 miliardi di evasione Iva, per i quali è però necessario, spiega la Fondazione, distinguere tra consumi intermedi (con controparte di chi fattura o dovrebbe fatturare un’altra partita Iva) e consumi finali (con controparte di chi fattura o dovrebbe fatturare un consumatore finale non partita Iva). Le stime sul tax gap Iva della Commissione UE di settembre 2017, aggiornate all’anno 2015, evidenziano per l’Italia una incidenza del «gettito Iva potenziale» derivante da transazioni con persone fisiche consumatori finali, sul «gettito IVA potenziale» totale, pari a 99,2 miliardi su 136,1 miliardi, ossia pari al 72,9%.

Secondo i commercialisti, quindi, si può quindi affermare che dei 35,8 miliardi di evasione Iva, 26,3 miliardi (pari al 73,4% del totale) siano riconducibili a evasione che si realizza nelle transazioni con consumatori finali che non son titolari di partite Iva, come risultato di interessi convergenti: quello del titolare di partita Iva di non fatturare e della persona fisica consumatore finale di non pagare l’Iva a suo carico in aggiunta al ricavo o compenso che corrisponde a chi gli cede un bene o gli presta un servizio. Così il titolare risparmia le iposte sui redditi e il consumatore finale risparmia l’Iva.

La cifre finali, risultato dell’analisi, sono così sintetizzati dalla Fondazione stessa:
• 15 miliardi (13,9%) riconducibili al lavoro dipendente irregolare per Irpef e contributi;
• 58,4 miliardi (54,2%) riconducibili alle piccole e grandi partite IVA per Irpef, IRES, IRAP e IVA su consumi intermedi;
• 34,3 miliardi (31,8%) riconducibili alla generalità dei contribuenti per locazioni, canone Rai, Imu e Iva su consumi finali.
Soltanto poco più di metà (54,2%) dell’evasione, quindi, sottolinea la Fondazione, sarebbe direttamente riconducibile alle partite Iva (individuali, società di persone, società di capitali) e poco meno di metà (46,8%) a quella generalità di contribuenti di cui oltre l’85% sono quei lavoratori dipendenti e pensionati. Un fenomeno, dunque «palesemente trasversale» per i commercialisti.

Saverio Fossati - 26 giugno 2018 – tratto da sole24ore.com

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