La legge proprio non aiuta, con le sue contraddizioni, i professionisti che vogliono aggregarsi per svolgere un’attività multi-professionale.

Se, infatti, nessun problema vi è qualora la forma giuridica adottata sia quella dello studio associato, in quanto, non essendoci alcuna legge che detti le regole da seguire, tanto meno vi sono divieti da rispettare, molte invece sono le questioni che si pongono se si adotta la forma societaria (la Stp o, per l’attività forense, la Sta).

Già il fatto che per lo studio associato non vi sia alcuna disciplina e che, invece, la regolamentazione di Sta e Stp sia stringente (e farraginosa), suscita notevoli perplessità circa la capacità del nostro legislatore di governare questi temi in modo coerente e assennato. Se poi si aggiunge che il legislatore ha dato vita a una ingiustificata duplicazione (la Sta per l’attività forense, la Stp per tutti gli altri professionisti) e ha caratterizzato queste due forme societarie da norme parzialmente e inutilmente diverse, il desolante quadro della regolamentazione di questa materia è completo.

Scendendo nel pratico della multi-professionalità, occorre osservare che sia la legge sulle Sta (la legge 247/2012) sia la legge sulle Stp (la legge 183/2011) non se ne occupano. Per trovarne menzione bisogna ricorrere al Dm Giustizia 34/2013 (emanato in attuazione della legge 183/2011, ma probabilmente valevole anche per dare attuazione alla legge 247/2012) il cui articolo 8, comma 2, sancisce che la società multidisciplinare è iscritta presso l’albo professionale «relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo». La legge però non dice nulla su come definire il concetto di “prevalenza”. Per teste, per quote di capitale sociale oppure per quote di partecipazione agli utili? Magari per incassi, fatturato o redditività del fatturato? E perché non per numero di clienti o di pratiche? O magari per una combinazione di questi fattori. Non è chiaro neanche se il silenzio del legislatore significhi massima libertà di definire questo tema nello statuto della società. E nemmeno che periodo temporale va preso a riferimento per misurare questa prevalenza.

Ancora: che succede se la “prevalenza” muta nel tempo? Prendiamo una società tra commercialisti e geometri che dichiara nell’oggetto sociale la prevalenza dei geometri (e viene iscritta al Collegio dei geometri), e poi i commercialisti finiscono per essere prevalenti. Occorre cambiare l’oggetto sociale, cancellarsi dal Collegio dei geometri e iscriversi all’Albo dei commercialisti? E se, in seguito i geometri ridiventano prevalenti, si può tornare alla situazione originaria ? E ancora:  per una Stp con avvocati “in minoranza” i quali prendono poi il sopravvento, divenendo “prevalenti”, l’Ordine degli avvocati accetterà mai di iscrivere una Stp (anziché una Sta) o ne pretenderà la “trasformazione” in Sta? E al contrario, se in una Sta si verifica una “scalata” dei commercialisti, l’Ordine dei commercialisti accetterà di ospitare una Sta? Infine, in una società tra un marito ingegnere e una moglie architetto, come si fa a stabilire chi prevale ? Insomma, un gran pasticcio, che finirà probabilmente – e se possibile – per essere ancor più complicato da Ordini locali, che forti della loro autonomia, potrebbero prendere orientamenti non univoci e decidere casi simili in modo diverso.

Angelo Butani - 31 agosto 2018 – tratto da sole24ore.com

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